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NORME E SITUAZIONI DI SERVIZIO ATTIVO – CASO 2: I PASSEGGI – SVOLGIMENTO E SOLUZIONE

CASO 2 – L’addetto al servizio di vigilanza armata viene incaricato di effettuare i controlli all’interno del cd cortile passeggio nel cui bagno – che sfugge alla visuale dell’agente – il detenuto Beta viene picchiato da Acca e Kappa. Sopraggiungono in suo soccorso altri detenuti uno dei quali sequestra Acca e gli punta una lametta alla gola minacciando di tagliargli la giugulare. L’agente dal muro di cinta chiama i soccorsi che tuttavia tardano ad entrare per una concomitante emergenza all’interno.

In questa ipotesi operativa, apparentemente semplice, si condensano una serie di questioni che spaziano dall’uso delle armi alla necessaria conformità delle nostre regole di diritto interno alla Cedu.

 Cominciamo, come sempre – e secondo l’ordine di esposizione del caso – a fare una ricognizione normativa.

L’addetto al servizio di vigilanza armata rinviene la disciplina dei suoi doveri  nell’art.38 del dpr 82/1999 il quale assume rilievo perché l’arma che ha in dotazione deve verosimilmente adoperarla nello spettro d’azione della sua attività di vigilanza. Egli (l’agente addetto alla vigilanza) deve esercitare la vigilanza nella zona (quindi anche i passeggi) assegnatagli attraverso un ordine di servizio.

La circostanza che sia destinatario di un ordine, rileva in materia di uso legittimo delle armi che, com’è noto, è disciplinato dal codice penale – come causa di giustificazione – e dalla legislazione speciale che consente di sparare ai contrabbandieri e a quelli che passano abusivamente le frontiere. 

PRIMA OSSERVAZIONE

Nell’ordine di cui all’art.29 dpr 82/1999 è disciplinata l’evenienza dell’uso dell’arma ?

Quando e con che modalità si deve sparare?

L’agente deve agire sulla base di ordini.

Perché, come tra poco si vedrà, l’uso legittimo delle armi si riconnette al fine di adempiere a un dovere del proprio ufficio e questo dovere, si ripete, è disciplinato dall’art.29 dpr 82/1999 che demanda a direttore e comandante di disciplinare analiticamente i singoli servizi.

Peraltro, si dubita che l’ordine che disciplina il singolo servizio contempli questo aspetto in modo espresso, chiaro e inequivocabile.

Certo è che se in carcere è vietato l’uso ordinario di armi è agevole ipotizzare che l’arma non possa trovare impiego nel settore del “passeggio”, senza la preventiva autorizzazione del direttore. Viceversa potrebbe essere adoperata in caso di attacco esterno che per un attimo mettiamo da parte, per richiamare la disciplina di carattere generale ed esaminarne alcune “speciali” che precedono il dpr 82/1999 – in cui non vi è una risposta.

Il codice penale, attraverso le cause di giustificazione autorizza o addirittura impone (ad es. alla sentinella) un determinato comportamento che può essere contemplato dalla legislazione speciale.

Le due ipotesi “assimilabili” non per analogia ma solo come evenienza casistica sono quelle che riguardano  speciali casi  di uso legittimo delle armi.

  • La legge 4 marzo 1958  in tema di repressione del contrabbando prevede che è consentito l’uso delle armi quando il contrabbandiere sia armato palesemente, quando il contrabbando sia compiuto in tempo di notte, quando i contrabbandieri agiscano in un numero di almeno tre persone ma, soprattutto, l’uso delle armi è autorizzato, ai sensi dell’art.21 SE IL CONTRABBANDIERE NEL  D A R S I  A L L A  F U G A  NON ABBANDONA IL CARICO.

Sicuramente, è una norma di altri tempi che deve misurarsi con l’evoluzione del sistema delle fonti e in particolare gli artt 10,11 e 117 Cost.

L’evidenziazione grafica dell’aspetto connesso alla fuga vuole sottolineare una questione di particolare rilievo perché il tema della fuga è controverso (potrebbe avere esiti letali).

Interessante è la normativa sovranazionale cui dedicheremo apposita sessione.

Certo è che, raffrontando la disciplina sui contrabbandieri e l’evasione di massa durante le recenti rivolte, forse l’uso delle armi era legittimo in quella circostanza.

C’è da dire che la Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul tema dell’uso delle armi e il rapporto di proporzione tra i beni contemplati, ha stigmatizzato la disciplina italiana. 

A ciò aggiungiamo che poiché i giudici devono interpretare le leggi in modo conforme, compatibile con la CEDU la nostra evenienza operativa ha pochi margini di risposta (cfr. infra)  e la disciplina sui contrabbandieri non troverebbe applicazione, in quanto la fuga è assimilabile a una resistenza passiva.

Ma allora la sentinella perché dovrebbe vigilare con arma in dotazione l’area dei cd.passeggi? 

  • Altra ipotesi che legittima l’uso delle armi è quella dell’art 158 Tulps per i passaggi abusivi di frontiera.

La manualistica, poi, riporta la legislazione penitenziaria senza però fornirne una chiara e confortante interpretazione.

Ora, se il mondo accademico ne parla – e magari a buon diritto perché è un caso limitato se visto sotto lo spettro della legislazione speciale o perché i carabinieri sparano ai rapinatori, ai sequestratori, quindi la legittimità di tale modalità operativa coprirebbe anche quella dei poliziotti penitenziari.

Ma  il dipartimento, i provveditorati – uffici sicurezza – le direzioni, i comandanti non disciplinano l’uso delle armi ed allora cosa ne sa l’addetto alla vigilanza armata?

Insomma, l’agente di “sentinella” è una specie di parafulmine che deve adempiere ai suoi doveri con diligenza (ma non è dato sapere in cosa consista) e scrupolo.

Caliamoci nell’evenienza operativa.

Ipotizziamo il caso di un poliziotto che in una stazione ferroviaria  spara ad un soggetto armato che minaccia l’uso di un coltello per sottrarsi ai controlli.

In questo caso lo sparo del poliziotto si giustifica non per l’uso legittimo delle armi, bensì  nella legittima difesa.

Tuttavia si ipotizza che vi sia un  possibile eccesso colposo e, quindi, il poliziotto va sotto processo.

Poteva usare lo spray o fare come i colleghi della penitenziaria che intervengono disarmati nelle sezioni.

Bene, l’addetto alla vigilanza armata cosa deve fare nel caso prospettato?

Niente, non può sparare, perché il bersaglio non è di facile raggiungimento (sicuramente è coperto dalla vittima dello “sgozzamento”) e l’uso delle armi ai sensi dell’art.41 della legge 354/1975 all’interno del penitenziario non può avvenire, si ripete,  senza autorizzazione espressa del direttore.

Quindi o l’art.29 del dpr 82/1999 contempla “a monte” tale evenienza o non è possibile.

Viceversa, in caso di un attacco esterno si verte nel caso di legittima difesa ma……….i vetri antiproiettile potrebbero rendere “eccessivo” lo sparo perché l’addetto alla vigilanza armata “può proteggere se stesso” con una soluzione alternativa.

Insomma, anche in questo caso si auspica in una sensibilità istituzionale nella emanazione di direttive chiare e semplici.

By Magile

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Redazione OSAPPoggi

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