CASO 6
L’oltraggio a pubblico ufficiale ex art.341 bis cp. ed i delitti di resistenza (attiva o passiva); individuazione dell’obbligo dei superiori gerarchici e/o vertici “ reperibili” di recarsi sul luogo dell’evento.
Siamo giunti al sesto ed ultimo caso all’interno delle sezioni detentive che rappresentano veramente il contesto di maggiore esposizione a rischi per il personale di Polizia penitenziaria, spesso costretto ad intervenire ed operare in solitudine.
Iniziamo con il dire che i detenuti, per espressa previsione di legge, devono avere un regolamento rispettoso nei confronti del personale e ciò lo desumiamo dall’art.32 della legge 354/1975 e dall’art.77 c.1 n.15 che prevede, tra le infrazioni disciplinari, l’atteggiamento offensivo nei confronti degli operatori penitenziari o di altre persone che accedono in istituto per ragioni del loro ufficio o per visita.
L’art.341 bis invece disciplina l’oltraggio a pubblico ufficiale e si apre stigmatizzando la condotta di chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione da tre mesi a sei anni.
Tralasciamo, in questa sede, le cause di estinzione del reato contemplate dalla norma e cerchiamo, invece, di fugare i dubbi rispetto alla natura degli ambienti detentivi, premettendo che la fattispecie di reato in esame è posta a tutela del buon andamento della pubblica amministrazione che, quindi, per quanto attiene all’Amministrazione penitenziaria dovrebbe “tutelare” il suo personale di Polizia, costituirsi parte civile nei procedimenti a carico dei detenuti responsabili di oltraggio – che se vogliono estinguere il reato devono risarcire il danno, giusta quanto previsto dall’art.341 bis c.3 cp – e soprattutto attivarsi sul piano disciplinare e del regime detentivo attraverso l’applicazione dell’art.14 bis lp.
Le azioni sanzionate, per espressa previsione normativa, devono avvenire in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di piĂą persone.
Questi elementi non difettano in una sezione detentiva; viceversa potrebbero mancare quando un detenuto è in una camera di sicurezza del tribunale o nel blindato per le traduzioni con un solo agente (e i due autista e caposcorta nell’abitacolo).
Qualche perplessità potrebbe suscitare la natura dello spazio detentivo circoscritto nella cella, ma la questione è stata affrontata e risolta dalla Suprema Corte di Cassazione – che si badi chiama la cella per il suo nome e non già camera di pernottamento – riconosce a tale ambiente la natura di luogo aperto al pubblico, non rientrando nei poteri del detenuto il cd ius excludendi alios, ossia il potere di dominio sul contesto, escludendo terzi.
Nella realtĂ operativa si assiste alla prepotente rivendicazione dello spazio da parte dei detenuti che, addirittura, rifiutano la presenza di alcune persone e questo deve portarci a fare una riflessione.
Poniamo il caso che un agente venga oltraggiato ed aggredito.
Quando sarà nella corsia dell’ospedale ad attendere il suo turno al pronto soccorso potrà rifiutare la presenza nella camera di degenza di un’altra persona?
No, perché tra le tante cose interromperebbe un pubblico servizio.
Quanto all’obbligo dei superiori di intervenire, riteniamo che l’obbligo di reperibilità del Direttore – che tra l’altro ha la facoltà di fruire di un alloggio di servizio – sia un elemento sufficiente per affermare che la sua presenza sul luogo sia indispensabile, posto che il bene offeso è quello del “buon andamento” di cui deve essere promotore e garante.
By Magile
RIPRODUZIONE RISERVATA ©Copyright OSAPPOGGI