
di Leo Beneduci_ Le continue tensioni “sindacali” a cui ci sottoponiamo e quelle ancora più pesanti, gravi e tangibili (per lo più ignorate a Roma) a cui è soggetta la Polizia Penitenziaria, soprattutto se impiegata nei servizi di “trincea”, ci spingono a cercare, ogni giorno anche se con notevole senso critico, i segnali che possano indicare cambiamenti nella politica penitenziaria e di gestione del personale, nonché dei rapporti tra le Parti all’interno del Dap. A mio avviso e non me ne vogliano i colleghi degli altri sindacati, che già, almeno in parte, poco mi sopportano, quello che mi sembra avere caratterizzato negli ultimi tempi le relazioni tra sindacato e amministrazione, è una sorta di omologazione dei comportamenti. In pratica, io sindacato anche se non mi piace quello che accade sul territorio (qualora veramente non mi piaccia) sapendo che in questo momento tu (capo, vice capo, direttore, dirigente generale, etc. etc.) sei particolarmente potente e assai coperto politicamente, non attacco né contesto le tue scelte, ma faccio buon viso a cattivo gioco, purché da ciò mi pervengano concrete manifestazioni di supporto che mi aiutino a mantenere, o persino a rafforzare i gradimenti del personale nei miei confronti, (perché se non di sole tessere, anche di “tessere” si campa..). E questo, sempre perdonandomi, è anche un discorso prettamente economico, non perché legato al denaro ma semmai alle energie di cui si dispone; perché mai, io sindacato, dovrei profondere tempo e sforzi per qualcosa che probabilmente non potrò ottenere e persino facendomi dei nemici importanti, quando posso continuare ad amministrare tranquillamente quello che già ho riuscendo anche a potenziarlo attraverso accordi e consensi che la stessa amministrazione favorirebbe? E poi, visti la costante disinformazione in atto e il disincanto verso tutti i sindacati dei colleghi impegnati e preoccupati per ben altro, perché io sindacato dovrei rischiare di non essere compreso e condiviso persino al mio interno? Invero, nulla di veramente sbagliato e di scorretto, rispetto a ciò che le scelte e le iniziative sindacali nazionali (in ambiti generali e non solo del Corpo) ci hanno testimoniato in questi anni. Vero è, diciamo Noi dell’OSAPP, che in questo modo non cambierà mai niente, ma la nostra è una visione parziale e, se vogliamo, anche in parte limitata, per cui non la approfondiamo ulteriormente. Quello che ci interessa invece sottolineare è che tutto questo, omologazione, laissez faire, laissez passer (lasciate fare, lasciate passare) e accordi “sottobanco compresi, sarebbero venuti meno, quasi all’unanimità, nella riunione dello scorso 2 aprile al Dap sulla proposta di assegnazione degli Ispettori del 9° corso. Certo la proposta di Parisi & C., per quello che significava e soprattutto sottendeva, era assolutamente inaccettabile ed è altrettanto vero che lo stesso Parisi, proiettato, come si dice, verso altri rilevanti incarichi nel Dap (chissà dove lo mandano se non accade?) risulta sempre meno interessato a dimostrare che tutti lo vogliono e che tutti lo amano, obtorto collo, così anche da demandare alcune delle scelte maggiormente “impopolari” e rischiose al suo vice, ma che i sindacati non accolgano in massa una sua proposta non è veramente mai accaduto nella recente storia del Dap. E qui tocchiamo il nocciolo della questione, il vero “gioco delle poltrone” in atto ai vertici: il Capo facente funzioni punta a diventare Capo effettivo, il Direttore Generale del Personale ambisce al ruolo di Vice Capo, mentre il Direttore Generale della Formazione mira alla posizione di Capo del Personale. Tutto questo valzer di ambizioni personali avviene tranquillamente sotto l’ombrello protettivo della politica, e nel perseguimento di questi obiettivi di carriera non si risparmia nessuno, si stipulano tregue temporanee e si pianificano azioni e cartelli. Ma è davvero questo ciò di cui ha bisogno il Corpo?
A proposito di coerenza, curioso come il collocamento a riposo sembri rendere improvvisamente virtuosi dirigenti che in servizio erano guidati solo dalle ambizioni. Esempio lampante: un Dirigente Generale in quiescenza ha recentemente pubblicato un articolo preoccupandosi degli sgabelli saldati nelle celle, spesso usati come armi improprie che finiscono sulla testa di qualche detenuto. Lo stesso dirigente che, quando era in servizio attivo, aveva fatto rimuovere le spondine dai letti a castello per evitare potenziali evasioni (spondine che avrebbe potuto semplicemente far saldare). Non è la prima volta che interviene con questa “saggezza postuma”: qualche tempo fa, sempre da pensionato, si è espresso sull’uso della forza negli istituti. Ecco l’esempio perfetto dell’incoerenza: la pensione trasforma gli ambiziosi in virtuosi predicatori. È, quindi, forse questo il concreto segnale che qualcosa cominci finalmente a cambiare e che il sindacato, tutto, della Polizia Penitenziaria si voglia riappropriare del proprio ruolo di controparte? Non corriamo!
Forse, se lo è, potrebbe essere anche la manifestazione del fatto che in molti stiano aprendo gli occhi e che, parafrasando ciò che si dice dalle mie parti, se all’ascolto degli slogan elettorali sulla Polizia Penitenziaria ci piace ancora cullarci, sicuramente quegli slogan non ci addormentano più!
Fraterni Saluti a tutti.
Leo Beneduci – Segretario Generale OSAPP
Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria
Ufficio Stampa OSAPP