
È OPPORTUNO CHE I COLLEGHI SAPPIANO QUANTO E COME AL DAP SIANO APPROSIMATIVI PER QUANTO POSSONO RISCHIARE
Le direttive dipartimentali in materia di videosorveglianza creano una pericolosa zona grigia normativa in cui si può affermare tutto e il contrario di tutto, lasciando il personale penitenziario nell’incertezza operativa.
La direttiva sulle body cam presenta una contraddizione fondamentale: vieta le registrazioni nelle camere detentive “ove non ricorrano le condizioni di legittimo utilizzo”, ma non definisce mai cosa costituisca tale “legittimo utilizzo”. Contemporaneamente, indica come motivi validi per l’attivazione proprio eventi critici (autolesionismo, barricamenti, rivolte) che tipicamente avvengono nelle celle.
Questa formulazione ambigua crea una situazione in cui, qualunque scelta faccia l’agente, può essere contestata: se attiva la body cam in cella, rischia di violare il divieto; se non la attiva durante un evento critico, potrebbe essere accusato di non aver documentato una situazione rilevante.
Il quadro è ulteriormente complicato dal diverso trattamento riservato alle due tecnologie di sorveglianza:
Per le body cam (in arrivo a giugno 2025) il DAP dichiara di aver ottenuto il parere del Garante della Privacy, ma non risulta alcuna consultazione con le organizzazioni sindacali, come richiesto dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Per il sistema di videosorveglianza centralizzato (operativo già da febbraio 2025) che permetterà alla Sala Situazioni di accedere da remoto alle telecamere degli istituti, non risulta né il parere del Garante né la consultazione sindacale. Questa disparità di trattamento (ma in realtà è assai di più) è particolarmente grave poiché il sistema centralizzato configura proprio quel “controllo a distanza dell’attività lavorativa” che l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori sottopone a stringenti limitazioni procedurali, richiedendo preventivi accordi sindacali.
Le direttive dipartimentali, anziché fornire un quadro normativo chiaro, creano un sistema in cui si può sostenere qualsiasi interpretazione: le registrazioni nelle celle sono vietate, ma anche obbligatorie; il parere del Garante è necessario, ma anche ignorabile; la consultazione sindacale è un requisito inderogabile, ma anche aggirabile.
Questa zona grigia normativa non tutela nessuno: né il personale penitenziario che opera quotidianamente nelle sezioni, né l’amministrazione che rischia e perde
contenziosi per violazione della privacy e dello Statuto dei Lavoratori, né le persone detenute i cui diritti alla riservatezza rimangono indefiniti.
Che questo sia il Dap voluto da Andrea Delmastro, da Lina Di Domenico e da Massimo Parisi, Vice & C. ciascuno ad affermare (qualcuno non firma alcunché ma decide tutto)
che loro non c’entrano e solo gli stolti non se ne rendono conto, mentre basterebbe così poco per non caricare di responsabilità penali e disciplinari i Colleghi di trincea, ma loro non lo fanno, forse perché non gli conviene.
Fortuna che anche Noi dell’OSAPP sappiano scrivere alle Procure della Repubblica come stiamo facendo e facciamo ..e non finisce certo qui.
Un abbraccio come mille abbracci.
Leo Beneduci – Segretario Generale OSAPP
Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria