Attorniato da giornalisti e microfoni, il presidente del consiglio, nella triste circostanza del funerale di Willy Monteiro Duarte, ha sostenuto l’esigenza di una punizione severa per i colpevoli, aggiungendo: «E una pena certa». Come se egli fosse un teorico scienziato sociale e non avesse invece i poteri per intervenire. Quindi anziché ai microfoni l’auspicio sarebbe più utile se rivolto al «suo» ministro della Giustizia, il quale è al governo da oltre due anni senza avere all’attivo alcun provvedimento importante.
Anzi, è avvenuta la scandalosa scarcerazione di pericolosi esponenti della criminalità organizzata con un dubbioso appiglio al Covid e non risulta che egli abbia fatto chiarezza. E che dire dell’ultimo dei tanti episodi di questa amministrazione della giustizia quanto mai deficitaria, quello di Johnny «lo zingaro», ergastolano (a Sassari) non rientrato da un permesso premio dopo che nel 2017 era evaso proprio grazie a un permesso.
Sulla scia dell’indignazione è d’uso chiedere pene più severe. Ed è quanto è stato ripetuto anche in occasione del feroce omicidio di Colleferro. Ma si tratta di una richiesta poco meditata poiché non importa l’entità della pena se non vi è certezza che essa venga espiata. Non si tratta ovviamente di infierire su chi commette un reato e non bisogna sottovalutare l’importanza delle pene alternative al carcere, così come va assicurata la dignità di chi si ritrova in cella. Sarebbe perciò opportuno anche un aggiornamento sul promesso piano-carceri: dov’è finito?
I provvedimenti si accumulano sul tavolo, impolverati: dalla norma che vieta la candidatura politica per un magistrato ancora in carriera al rinnovo del Consiglio superiore della magistratura dopo il caso Palamara, dall’intervento sui distacchi dei magistrati presso i ministeri alla divisione o meno delle carriere, e così via. Tra l’altro il funzionamento della giustizia riguarda anche l’economia. È inutile vagheggiare sul Recovery fund se poi i tempi dei processi impediscono agli imprenditori di fare il loro mestiere.
Non ci si può nascondere dietro la complessità delle riforme. Non stiamo affrontando la rielaborazione dei codici, si tratta di provvedimenti per i quali è richiesta semplicemente una volontà decisoria. È quindi fuori luogo che il presidente del consiglio si appelli alla certezza della pena che spetta a lui fare rispettare. E che sorvoli sul mal funzionamento della giustizia e sull’inerzia in merito del suo governo.
fonte: italiaoggi.it
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