Dal Recovery Fund dovrebbero arrivare all’Italia oltre 200 miliardi di euro. Una parte andranno alla Giustizia e al sistema penitenziario. È un’occasione da non sprecare con la solita ricetta, ossia con piani di edilizia penitenziaria. Non è costruendo carceri che si innova un sistema che invece ha bisogno di modernizzazione, creatività e investimenti nel campo delle risorse umane.
Il Recovery Fund deve essere l’occasione di una vera ripartenza, che può essere possibile solo in una società coesa e capace di farsi carico di tutti i suoi componenti, con politiche organiche di inclusione rivolte anche alle fasce più deboli. Una vera ripartenza presuppone un sistema del welfare rafforzato, capace di sottrarre alle politiche penali un’ampia fascia di coloro che oggi affollano le carceri italiane, innanzitutto rispetto alla gestione delle tossicodipendenze.
Il Recovery Fund deve costituire inoltre un’occasione per orientarsi verso una differenziazione del sistema sanzionatorio. Ogni detenuto costa circa 130 euro al giorno. In confronto, le misure alternative costano meno di un decimo e hanno un ben più significativo impatto nella lotta alla recidiva e negli obiettivi di recupero sociale dei condannati.
Dall’altro lato bisogna investire nella ristrutturazione delle carceri esistenti, coinvolgendo nella pianificazione la migliore intelligenza giuridica, accademica, architettonica, sociale che insieme ad esperti penitenziari diano vita ad equipe multidisciplinari che lavorino per raggiungere l’obiettivo di rimodernizzare le carceri, nel rispetto di quanto previsto dalle norme interne e internazionali, in termini di spazi, diritti e opportunità.
È questo il momento per cablare gli istituti, per potenziare le infrastrutture tecnologiche, per prevedere ipotesi aggiuntive di didattica a distanza, per assicurare la formazione professionale anche da remoto, per consentire ancor più incontri con il mondo del volontariato, per aumentare le possibilità di video colloqui con familiari e persone care che si aggiungano ai colloqui visivi.
La rimodernizzazione deve riguardare anche una diversa organizzazione e valorizzazione degli spazi di vita sociale interna ma anche delle stesse camere di pernottamento.
Infine, bisogna investire sul capitale umano, senza il quale ogni obiettivo resta irraggiungibile.
Usiamo i fondi del Recovery per un nuovo sistema penitenziario e non per nuovi penitenziari.
1. Più risorse per le misure alternative e per la giustizia di comunità
Nel 2021 il budget per il Dipartimento Giustizia minorile e di comunità, che ha in carico le misure alternative, è stato di 283,8 milioni. Al DAP sono stati assegnati 3,1 miliardi di euro. Usiamo il Recovery fund per invertire questo trend di spesa.
Le misure alternative producono sicurezza: solo lo 0,5% di coloro che scontavano una misura alternativa ha commesso nuovi reati. Al contrario, il carcere aumenta il rischio di recidiva. Si usino i fondi per: case di accoglienza per detenuti in misura alternativa, per progetti educativi e sociali che riducano i rischi della devianza, trattamenti socioterapeutici esterni per chi ha problemi di dipendenza, case famiglia per detenute madri, accordi con le centrali della cooperazione sociale, dell’artigianato e del mondo dell’industria per facilitare inserimenti lavorativi di persone in esecuzione penale.
2. Più risorse per modernizzare e migliorare la vita interna
Si deve con decisione investire nelle dotazioni tecnologiche di ogni istituto. Vanno potenziate le infrastrutture, che oggi rendono difficoltosi i video collegamenti. Ogni carcere deve avere una potente wifi. Le aule delle scuole devono consentire collegamenti a distanza. Si doti ogni istituto di una efficiente ed efficace rete telefonica.
Si investa negli spazi comuni delle carceri, nelle aule, nelle attrezzature sportive, nelle biblioteche, nei teatri, nelle officine. Li si renda fruibili al massimo delle loro potenzialità. Si creino sale musicali dove poter suonare. Si investa in campi e palestre. Lo sport è terapeutico. Si investa anche nelle farmacie interne e nell’attrezzatura di primo soccorso medico. Si rinnovino le lavanderie con macchine nuove e si faccia lo stesso con le falegnamerie, laddove presenti.
Nella metà delle carceri vistate da Antigone nel 2019 c’erano celle senza doccia. Nel 44% degli istituti c’erano celle non riscaldate. In un carcere su tre i detenuti non avevano accesso a un campo sportivo o a una palestra. In un istituto su quattro non c’erano spazi per le lavorazioni. Nel 10% degli istituti visitati c’era addirittura il wc nella stessa stanza del letto. Le ristrutturazioni sono necessità non rinviabili. Si rifacciano le docce rovinate. Si dotino, in vista dell’estate, le celle o le sezioni di frigoriferi.
3. Più risorse da investire nel capitale umano
Gli educatori presenti sono il 13,5% in meno di quelli previsti (774 invece di 895). Nelle carceri visitate da Antigone c’era 1 educatore ogni 92 detenuti. Il trattamento economico a loro riservato è nettamente inferiore rispetto a quello degli agenti. In meno di 1 carcere su 10 tra quelle visitate da Antigone erano presenti mediatori linguistici e culturali.
I funzionari amministrativi sono il 16,8% in meno di quelli previsti. Infine, in circa la metà degli istituti da noi visitati non c’era un direttore incaricato esclusivamente in quell’istituto. Ugualmente medici, infermieri, psicologi sono insufficienti, al pari degli assistenti sociali.
Il Recovery Fund deve essere una grande occasione per far entrare le nuove generazioni nei lavori che hanno a che fare con il carcere, per adeguare le aspettative economiche del personale alla rilevanza dell’impegno professionale, per assicurare una piena e continua formazione a tutto lo staff penitenziario.
fonte: temi.repubblica.it