«Apri» e non «mamma»: questa è la prima parola che dicono i bambini che vivono in carcere con le loro mamme detenute.
«Apri», infatti, è la parola che sentono più spesso pronunciare. Così mi hanno raccontato le donne dell’Istituto a custodia attenuata per detenute madri (Icam) di Lauro in provincia di Avellino, durante una visita effettuata con la Commissione parlamentare infanzia e adolescenza nel 2018. Una delle prime attività che ho svolto da deputato è stata proprio quella di visitare le carceri e in particolare quelle che ospitano minori, per vedere da vicino la situazione dei nostri istituti penitenziari.
«Nessun bambino deve varcare la soglia di un carcere»: queste le parole pronunciate dalla ministra della Giustizia Cartabia poche settimane fa in audizione in Commissione infanzia a cui è urgente e necessario dare seguito e concretezza. Invece in Italia in questo momento ci sono 16 bambini innocenti che vivono i primi anni della loro vita in un carcere, perché l’Icam è comunque un carcere. Non si dica che sono piccoli numeri. Sono bambine e bambini in carne e ossa. E hanno tutto il diritto di vivere una vita normale. Anche perché, come dimostrano accurate evidenze scientifiche, i primissimi anni di vita dei bambini, al pari della fase di gestazione, sono fondamentali per il loro sviluppo cognitivo. Nei primi mille giorni di vita l’ambiente in cui il bambino vive, svolge un ruolo decisivo per lo sviluppo del suo cervello.
Prima pensavamo che lo sviluppo di un bambino dipendesse esclusivamente dai geni che ereditava dai suoi genitori, oggi sappiamo che i nostri geni sono controllati anche dall’ambiente in cui viviamo nei primi anni. Per esempio la lettura ad alta voce in un ambiente accogliente da parte dei genitori nei primi mesi di vita determina un aumento del numero di parole conosciute dai bambini all’età di 3 anni. L’Italia ha una legge, la numero 62 del 2011, che consente a una donna in gravidanza o con un bambino di età inferiore a 6 anni di scontare la sua pena in un Icam o in case famiglia protette. Ma la legge non prevede alcun finanziamento per queste ultime. Non a caso, nel nostro Paese, ce ne sono soltanto due.
Nella legge di bilancio del 2020 è stato istituito, grazie a un mio emendamento, un fondo con una dotazione di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021, 2022 e 2023, destinato a contribuire all’accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case famiglia protette e in case alloggio per l’accoglienza residenziale dei nuclei mamma-bambino. Ma ad oggi nessuna Regione ha provveduto a utilizzare questo finanziamento.
L’11 dicembre 2019 ho presentato una proposta di legge basata sull’idea di fondo che nessun bambino innocente debba varcare la soglia di un carcere, anche se attenuato. Perché è comunque un carcere. E non si può condannare a una vita da recluso, in un momento decisivo per la sua crescita, nessun bambino, perché l’ambiente in cui vive nei primi anni influenza anche la sua vita da adulto.
L’atmosfera che invece ho percepito durante la mia visita nel 2019 nella Casa di Leda a Roma, in una bella villa confiscata a un boss mafioso, è certamente quella più adatta per un bambino. È una casa famiglia protetta per donne detenute con figli minori, gestita dall’associazione di volontariato “A Roma insieme”, che non ha nulla a che vedere con un istituto penitenziario. È una villa di 600 metri quadri con un giardino dove ci sono giochi per bambini. Non ci sono gli agenti di Polizia Penitenziaria, non ci sono le sbarre, le chiusure e le aperture, la vita scorre secondo i normali tempi di vita familiare.
Sono quindi fermamente convinto che l’accoglienza delle detenute madri (come di quelle in stato di gravidanza) e dei loro figli in case famiglia protette è, tra le modalità di detenzione alternativa dei genitori con bambini al seguito, quella in grado di assicurare la miglior qualità di vita dei minori. Non possiamo infatti provare a recuperare una donna che ha sbagliato e condannare il suo bambino a trascorrere i primi anni della sua vita in un carcere. Si tratta adesso di trovare un accordo tra le varie sensibilità politiche e fare in modo che nessun bambino sia costretto a varcare il cancello di un carcere per stare con la sua mamma. È una questione di civiltà ma anche di diritti costituzionali negati. L’articolo 31 della nostra Costituzione recita: «La Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo». Applichiamolo.
Paolo Siani è Vicepresidente della Commissione parlamentare infanzia e adolescenza
Fonte: espresso.repubblica.it