Nel decreto Sicurezza licenziato dal governo per superare i decreti Salvini sull’immigrazione spunta anche un reato “ad hoc” per vietare e sanzionare l’introduzione di telefonini all’interno degli istituti penitenziari. Fino a oggi, episodi di questo genere erano puniti semplicemente come illeciti disciplinari e sanzionati all’interno del carcere stesso. Con la nuova previsione, proposta dal Guardasigilli Alfonso Bonafede si vuole contrastare tutto ciò che può pregiudicare l’efficacia del percorso trattamentale, che tende anche a interrompere i rapporti con gli ambienti criminali esterni di provenienza. La pena prevista è da uno a 4 anni per chi introduce o detiene all’interno di un istituto penitenziario telefoni cellulari o dispositivi mobili di comunicazione: se a commettere il fatto è un pubblico ufficiale, un incaricato di pubblico servizio o un avvocato, scatta l’aggravante, con la reclusione da 2 a 5 anni.
Ma quanti sono realmente i cellulari introdotti illecitamente nei penitenziari. Nell’ultimo anno si è registrato un netto aumento dei tentativi di introdurre microtelefonini all’interno delle strutture carcerarie: confusi nel cibo, sistemati negli indumenti intimi, ingoiati, nascosti nel corpo, inseriti dentro un pallone per poi essere lanciati, trasportati da un drone, collocati nel fondo delle pentole.
Nei primi 9 mesi del 2020 – si legge su Giustizianewsonline, il notiziario web del ministero della Giustizia – sono stati 1.761 gli apparecchi rinvenuti nelle carceri italiane, requisiti all’interno o bloccati prima del loro ingresso. Nello stesso periodo del 2019 erano stati 1.206 mentre, nel 2018, se ne erano registrati 394.
Tra gli episodi più recenti, ve ne sono alcuni particolarmente eclatanti: il 3 settembre scorso, un pallone – con all’interno 16 telefonini – è stato trovato all’esterno del muro perimetrale del carcere di Avellino, mentre alla fine del mese di settembre, sempre nell’istituto irpino, alcuni ignoti hanno cercato di far entrare un altro pallone “sospetto”, con dentro microtelefonini, cavetti Usb e caricabatterie.
A Roma-Rebibbia, invece, il 25 settembre, due microtelefoni e un caricabatteria sono stati rinvenuti dagli agenti di Polizia penitenziaria: erano stati nascosti all’interno di tre pezzi di formaggio destinati a un detenuto. E ancora: nel giugno scorso, nel carcere di Benevento, 4 minicellulari sono stati individuati all’interno di due salami: i salumi erano stati “scavati” per creare al loro interno due cavità utili per ospitare i telefonini.
A Secondigliano, durante il lockdown, un drone si è schiantato contro uno dei muri del carcere mentre cercava di recapitare due piccoli involucri contenenti smartphone, microcellulari, con batterie, sim card e kit completo di alimentazione. E proprio ieri, sempre nel penitenziario campano, un drone è stato intercettato dagli agenti: al suo interno sono stati trovati dieci telefonini cellulari, otto caricabatteria e dieci schede telefoniche.
Nell’istituto penale di Carinola, nel Casertano, lo scorso agosto, alcuni malviventi, lanciando pietre di calcestruzzo all’interno del penitenziario, cercarono di introdurre nel penitenziario 20 smartphone, occultati con il cellophane in pietre di calcetruzzo lanciate nel perimetro del carcere. E sempre a Carinola, nel mese di giugno, un sacerdote che doveva celebrare la messa domenicale nell’istituto è stato trovato con 9 cellulari nascosti nelle buste di sigarette e tabacco che aveva intenzione di portare ai detenuti: i dispositivi erano completi di caricabatteria e cavetti Usb.
Anche le pentole sono state utilizzate come nascondiglio per i telefonini: a giugno sono stati i poliziotti penitenziari di Avellino ad accorgersi che una batteria di casseruole era sospetta e che, nel fondo delle stoviglie, erano stati occultati 19 microcellulari, 4 smartphone e 2 telefoni satellitari. Intanto, continuano a essere utilizzati anche metodi più “tradizionali” per occultare telefonini in cella: l’8 maggio scorso un detenuto del carcere Pagliarelli di Palermo ha ingoiato un microcellulare, mentre nel febbraio del 2019 gli agenti hanno bloccato un detenuto, rientrato da un permesso, che aveva nascosto 4 telefonini nello stomaco. Risale invece a una settimana fa il caso di un detenuto, trasferito a Trapani da un altro carcere siciliano, che aveva nascosto nel retto un involucro contenente un microtelefono, tre microsim e un caricabatterie.
Infine, molto clamore ha suscitato il tentativo, messo in atto lo scorso agosto – e scongiurato dal pronto intervento della Polizia penitenziaria – da parte di un giovane avvocato della provincia salernitana, di recapitare 10 telefonini, hashish e cocaina a un suo assistito, detenuto nel carcere di Salerno.
fonte: iltempo.it
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