Indagini chiuse sulla rivolta di Rebibbia, 55 detenuti rischiano il processo per reati che vanno, a seconda delle posizioni, dal danneggiamento al sequestro di persona, dalla rapina alla devastazione. I pm Eugenio Albamonte e Francesco Cascini hanno notificato in questi giorni relativi avvisi agli indagati. Prossima alla chiusura anche l’indagine parallela sui fatti analoghi, ma meno gravi, avvenuti in contemporanea a Regina Coeli.
La rivolta di Rebibbia, cominciò il 9 marzo sull’onda di quanto accadeva nelle carceri di tutta Italia e andò avanti nei giorni seguenti, rinforzata anche dai disordini dei familiari dei detenuti all’esterno del penitenziario. In trecento circa vi presero parte, tra cui i 55 indagati. Tra questi figurano, come presunti capi della rivolta, due nomi di peso nella criminalità romana. Leandro Bennato, 40 anni, complice negli affari di droga di Fabrizio Piscitelli «Diabolik», nonché vicino al nipote di Carmine Fasciani, Alessandro, e già condannato per narcotraffico. Con lui, il coetaneo Daniele Mezzatesta, una condanna definitiva nel 2017 a oltre 14 anni per possesso di sei chili di tritolo, un kalashnikov, tre mitragliatori, un fucile a canne mozze, una sfilza di pistole, 71 chili di cocaina e 143 di hashish: non ha mai rivelato per conto di chi custodisse questo arsenale. Per il ruolo prominente nei giorni della rivolta i due vennero trasferiti d’urgenza nel carcere di Secondigliano (Napoli) appena tornata la calma.
La rivolta nelle carceri scoppiò col diffondersi dell’allarme tra i detenuti per l’impossibilità di rispettare le norme anti Covid nelle celle sovraffollate. A Rebibbia la sommossa partì dal «nuovo complesso». Decine di detenuti nel reparto G11 diedero fuoco a materassi e coperte. In tanti riuscirono a uscire dalle celle riversandosi nei corridoi. Riportata a fatica la calma, due piani vennero dichiarati inagibili. La simultaneità con le altre rivolte fece pensare a una regia unica o a una forma di coordinamento strumentale ad ottenere scarcerazioni anche per detenuti «eccellenti». Un’ipotesi per ora non dimostrata ma non ancora tramontata.
fonte: www.corriere.it