Secondo la relazione della Direzione Investigativa antimafia del primo semestre 2020 la Camorra si conferma organizzazione in grado di adattarsi al profilo dello stato attuale della società, in rifermento particolare all’emergenza covid, mantenendo al contempo uno stato continuo di trasformazione “caratterizzato da equilibri in continua trasformazione in ragione di un tessuto criminale complesso”.
Ciononostante gli equilibri precari presenti nella realtà camorristica si sono più volte tramutati in fatti di sangue qualora una determinata leadership avesse voluto conquistare una parte di territorio.
Certamente la descrizione delle dinamiche criminali “non può non tenere conto dell’emergenza sanitaria, tuttora in corso” e non può tralasciare il fatto che la Camorra in particolari situazioni di emergenza è sempre stata in grado di strumentalizzare il disagio sociale per fini egemoni e di lucro: “è questo il vero terreno fertile della Camorra sempre tesa a consolidare il proprio consenso sociale attraverso svariate modalità̀ di assistenzialismo economico, sanitario e alimentare, oppure elargendo prestiti di denaro a titolari di attività̀ commerciali di piccole-medie dimensioni o creando i presupposti per fagocitare strumentalmente quelle più̀ deboli, utili per il riciclaggio e il reimpiego di capitali illeciti.”
Come era stato riportato nella relazione della DIA del secondo semestre 2019 “la rilevanza mediatica derivante da numerosi e gravi episodi criminosi non deve indurre a pensare ad una camorra come a una matrice delinquenziale di basso cabotaggio”, anche quest’anno si è registrata una rilevante capacità dei clan più strutturati di farsi impresa, traendo vantaggio anche dall’imminente erogazione di denaro pubblico a sostegno del settore sanitario, della produzione alimentare, del turismo e della ristorazione.
In un contesto in continuo mutamento come questo il Procuratore Capo di Napoli, dott. Giovanni Melillo, ha ribadito l’importanza della creazione di un piano efficace al fine di controllare i flussi di finanziamenti provenienti dallo Stato per evitare che vengano indirizzati verso attività gestite dalle cosche.
Il “fattore Covid” e il “welfare della camorra”
La Dia ha messo anche in luce che la pandemia ha avuto un peso rilevante nell’economia del territorio campano tanto che potrebbe incoraggiare “la migrazione di imprenditori camorristi nelle regioni del Centro e Nord Italia, dove operando senza i vincoli imposti dalle regole di mercato potrebbero alterare la legittima concorrenza”. Le Procure Campane allertate da questo rischio hanno emesso numerosi procedimenti interdettivi antimafia, che confermano le rilevanti infiltrazioni camorristiche “nel settore dell’agroalimentare, delle società̀ di servizi, della ristorazione, delle pulizie, della gestione di stabilimenti balneari, nella raccolta e smaltimento dei rifiuti, nella realizzazione di lavori edili in generale, dei servizi cimiteriali e di onoranze funebri, nonché́ di vigilanza, custodia e trasporto”.
Le sedi di tali aziende non sono solo presenti nel territorio Campano ma anche in Liguria, Lazio, Lombardia, Emilia Romagna e Molise, dove hanno trovato sedi stabili anche molti clan di camorra i quali hanno replicato le attività illecite già presenti nel territorio di origine, come ad esempio “lo spaccio di sostanze stupefacenti, la commercializzazione di prodotti con marchi contraffatti, la gestione di giochi e scommesse, la falsificazione di banconote e documenti e il contrabbando di tabacchi lavorati esteri”. Gli ingenti introiti economici derivanti da queste attività sono diventati uno strumento estremamente efficace per la camorra che la rende in grado di fornire attività di “assistenza” molto più rapida rispetto a quella dello Stato, “una sorta di welfare porta a porta, utile per accrescerne il consenso”. Non si tratta solo di una mera struttura criminale ma di un organico pronto e capaci di sostituirsi allo Stato – apparato, “in grado di sfruttare a proprio vantaggio la disperazione economica, le sofferenze ed i disagi delle famiglie, per ottenere seguito e reclutare manovalanza.”
Il problema delle carceri
Per quanto concerne gli effetti provocati dall’emergenza pandemica sul panorama carcerario la Dia ha registrato un aumento considerevole delle tensioni fra i detenuti, sfociate anche in violente proteste tra il 7 e il 9 Marzo 2020. Successivamente i giudici di sorveglianza hanno disposto misure alternative al regime carcerario sia per i detenuti comuni ma anche per alcuni boss della camorra sottoposti a regimi di detenzione di alta sicurezza. In una successiva valutazione gli organi competenti hanno constatato che la rimessa in libertà di soggetti di particolare caratura criminale avrebbe riassestato gli equilibri trai vari clan, scompensati proprio dall’arresto dei boss, e quindi per molti di loro è stata immediatamente ripristinata la misura carceraria. Ciononostante non tutti sono tornati alle patrie galere e il loro ritorno è “destinato ad avere importanti ripercussioni sulle dinamiche interne ed esterne ai clan”.
Il clan dei casalesi
Nel rapporto semestrale della Dia si è evidenziato come lo storico clan dei Casalesi è ancora molto forte e attivo all’interno del territorio del Casertano nonostante i colpi inferti dalle forze dell’ordine. Storiche famiglie come quelle degli Schiavone, Zagaria e Bidognetti non avrebbero subito al loro interno faide o disgregazioni in seguito all’arresto dei boss. Certamente le attività dei clan non hanno subito battute d’arresto nel periodo della pandemia, i quali hanno continuato ad operare sul territorio con azioni di usura, traffico di droga e scommesse illegali. Senza tralasciare la tendenza della camorra di attingere sempre di più a quelle risorse messe a disposizione dalle cosiddette aree grigie come elementi infedeli della pubblica amministrazione e dell’imprenditoria.
Secondo la Dia l’assenza di gravi episodi di sangue, come scontri armati continuativi, è da rifarsi ad una precisa scelta della leadership dei Casalesi, la quale ha preferito una connivenza pacifica con le altre famiglie. Lo scopo di tale connivenza sarebbe da ritrovarsi nell’intenzione da parte dei casalesi di gestire attività illecite in comune con gli altri clan, come ad esempio il traffico di stupefacenti e le infiltrazioni nel settore agro alimentare, oggetto di grande interesse anche per il gruppo Zagaria di Casapesenna, evidenziato nella relazione come la massima espressione del modello di “clan impresa”.
Fonte: antimafiaduemila.com