Rissa in carcere a Busto Arsizio. E’ stata sedata in pochi minuti, ma è stata piuttosto intensa.
È accaduto lunedì mattina, 10 aprile, in quarta sezione, quella cosiddetta aperta perché per la maggior parte della giornata le celle restano spalancate, così da dare ai reclusi la possibilità di fare su e giù dal corridoio e socializzare con i compagni di sventura, offrendosi caffè e sigarette.
Puntuale come ogni giorno è passato il carrello degli alimenti, facendo tappa in ogni cella, alla fine del giro mancavano però due litri di latte. Un detenuto ne ha accusato un altro di esserselo preso e i due hanno iniziato a picchiarsi come fabbri. Il resto della sezione (o almeno una buona parte) invece che tranquillizzarli si sono aggiunti alla zuffa e la scazzottata è diventata collettiva. Pochi istanti dopo sono intervenuti gli agenti della polizia penitenziaria che ha riportato un minimo di ordine. Qualcuno è finito in infermeria per farsi medicare le ferite, comunque lievi. Poi tutti dentro le celle, chiuse a chiave per il resto della giornata e forse anche per i prossimi giorni.
L’episodio è l’ennesima spia del disagio che si patisce nella casa circondariale di via per Cassano: sovraffollamento costante, organico della polizia penitenziaria insufficiente, personale medico – soprattutto psichiatrico – a ranghi così ridotti da non poter prestare servizio con continuità quotidiana. A maggio arriverà il nuovo direttore, Maria Pitaniello che si avvicenderà a Orazio Sorrentini e dovrà gestire una struttura che spesso si è rivelata delicata. Intanto è stato nominato il nuovo garante dei detenuti, lo storico giornalista della Prealpina, Pietro Roncari, che ha assunto l’impegno di occuparsi dei circa 400 reclusi con grande responsabilità, soprattutto vivendo il penitenziario da dentro.
Un’altra buona notizia, che ancora non è ufficiale, riguarda l’aspetto comunicativo: pare infatti che il direttore Sorrentini abbia portato a compimento il progetto del servizio di email (sul modello della casa di reclusione di Bollate), il che faciliterebbe molto il contatto con i familiari e accorcerebbe le distanze affettive. Perché non bisogna dimenticare che lo scopo del carcere è quello di rieducare, non di ghettizzare.
Fonte: prealpina.it
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