Rita Bernardini è da 23 giorni in sciopero della fame e contesta le affermazioni al direttore del “Fatto Quotidiano” Marco Travaglio. “Ma come li ha fatti i conti Marco Travaglio?”, si chiede Rita Bernardini del Partito Radicale a 23 giorni dallo sciopero della fame per sollecitare il governo ad attivarsi per varare misure deflattive più efficaci capaci di fronteggiare l’emergenza Covid in carcere.
Il riferimento è a ciò che ha scritto il direttore de Il Fatto Quotidiano in risposta alla lettera di Roberto Saviano che ha aderito, assieme a Luigi Manconi, Sandro Veronesi, molti giuristi, circa mille detenuti e tantissimi cittadini che ogni giorno si aggiungono per sostenere l’iniziativa radicale. Secondo Travaglio i dati dicono che in carcere si è più al sicuro rispetto a chi vive fuori.
Per questo motivo Il Dubbio ha raggiunto Rita Bernardini, preoccupato che stia compiendo un duro sacrificio del tutto inutile visto che l’emergenza Covid in carcere sarebbe inesistente. Proprio durante l’intervista, a Il Dubbio giunge da parte dell’avvocato Paolo Di Fresco la notizia della morte per Covid del detenuto al 41bis del carcere di Opera, il 78enne Salvatore Genovese.
È il sesto detenuto della seconda ondata morto per il Covid. Una morte annunciata visto che proprio 10 giorni prima che si ammalasse, il giudice del tribunale di sorveglianza aveva respinto l’istanza per la detenzione domiciliare. Aveva tantissime gravi patologie, ma secondo la magistratura sarebbe stato al riparo dal virus rimanendo al carcere duro. Purtroppo non è andata così.
Onorevole Bernardini, il direttore de Il Fatto è stato chiarissimo nello sviscerare i dati. Sostiene che su 53.720 detenuti risultano 949 positivi, quindi l’1,76% della popolazione detenuta; mentre fuori ci sono 1,6 milioni di positivi ufficiali, ovvero il 2,66% della popolazione libera. Allora è vero che chi vive in carcere rischia di ammalarsi meno…
Travaglio ha fatto un calcolo totalmente sballato. Da una parte ricava la percentuale con i dati dei positivi della seconda ondata in carcere, dall’altra però – per quanto riguarda la popolazione italiana – ricava la percentuale dal totale dei positivi dall’inizio pandemia. Chiaro che in quella maniera risulta più basso il tasso dei positivi che stanno in carcere. Avrebbe dovuto semplicemente considerare gli attualmente positivi che in Italia oggi sono 788.471. Allora ecco che viene fuori il vero confronto: per i detenuti il tasso del contagio è dell’1,76 %, mentre per coloro che vivono fuori le mura è dell’1,31%, non del 2,66% come sproloquia Travaglio. Ma attenzione, io sto prendendo in considerazione solamente i detenuti positivi, perché se consideriamo i positivi fra tutti coloro che frequentano quotidianamente il carcere, e quindi anche il personale, la percentuale schizza a oltre il 3,76%.
Va bene, qui Travaglio è possibile abbia commesso un errore. Però ha ragione nel dire che i detenuti sono più monitorati e che soprattutto – a differenza della stragrande maggioranza degli italiani – a quasi tutti vengono effettuati i tamponi…
Mi dispiace, ma anche su questo, Travaglio toppa. Guardi, ho qui i dati di alcuni giorni fa e risultano effettuati un totale di 16mila tamponi. Il che non significa che siano stati fatti i tamponi a 16mila detenuti, perché sappiamo che per ogni recluso risultato positivo, così come per tutti gli altri contagiati, viene sottoposto ad almeno altri due tamponi fino a che non si negativizza. Quindi il numero effettivo dei detenuti sottoposti a tampone va come minimo dimezzato. Altro che “copertura statistica quasi totale” come dice Travaglio.
Però una cosa indiscutibile l’ha detta, sempre rispondendo a Saviano. Ha osservato che rispetto al passato il sovraffollamento è sceso…
In realtà Travaglio ha smentito sé stesso. Fino a qualche tempo fa negava il sovraffollamento e addirittura pubblicò un editoriale sostenendo l’esistenza di ulteriori posti disponibili. Ora però, per replicare a Saviano, ha ammesso che “non c’è dubbio” sul fatto che “le strutture siano affollate e in parte fatiscenti”. Un piccolo passo in avanti per la comprensione di un sistema carcerario a lui totalmente sconosciuto. Dopodiché, quando parla di una significativa diminuzione dei detenuti, non comprende che c’è una differenza tra la prima ondata e la seconda. Durante la prima, un impatto decisivo alla riduzione del sovraffollamento non va attribuito al decreto “Cura Italia”, ma all’azione della magistratura di sorveglianza. Compresi i procuratori che coscienziosamente hanno evitato, quando possibile, di mettere preventivamente le persone in carcere. Questo anche grazie alle indicazioni del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. Ora, dopo le indignazioni sulle “scarcerazioni” e l’azione politica del ministro Bonafede per assecondarle (le indignazioni), mi sembra che siano molto limitati i provvedimenti di detenzione domiciliare. Infine Travaglio non considera il numero delle celle non agibili che non vengono sottratte ai dati ufficiali della capienza regolamentare, non si accorge che le misure governative deflattive attuali non bastano e soprattutto non è a conoscenza che mancano gli spazi per la gestione sanitaria dell’emergenza. Pensiamo alla vicenda grave del carcere di Tolmezzo dove gli avvocati hanno presentato anche degli esposti in procura.
D’accordo, ma Travaglio ha comunque detto che, finita l’emergenza Covid, il sovraffollamento comincerà a crescere a causa dell’alto “numero dei delinquenti”. Critica Saviano che parla di misure alternative al carcere, perché a detta sua ne usufruiscono già 40mila detenuti e quindi l’unica soluzione è la costruzione di nuove carceri. Non mi dica che anche qui ha sbagliato nell’elencare i dati…
Ebbene ha toppato anche qui. Non conosce la differenza tra chi ha usufruito della misura alternativa e chi ad esempio ha beneficiato della messa alla prova: quest’ultimo caso riguarda persone che non sarebbero comunque mai entrate in carcere. Basta andare sul sito del ministero della Giustizia e consultare gli ultimi dati disponibili relativi al 15 ottobre. Sono 28.073 detenuti che hanno usufruito delle misure alternative alla detenzione. Travaglio gli ha aggiunto le 8.575 persone che hanno usufruito dei lavori di pubblica utilità per violazione del codice della strada e 16 mila che sono in messa alla prova. Tutte persone che non hanno a che fare con il discorso carcerario. Quindi, anche in questo caso, ha dimostrato di non capirci nulla.
Non voglio mettere il dito nella piaga, ma a quanto pare non tornano nemmeno i numeri dei detenuti morti per Covid…
Ebbene sì. Sempre come risposta alla lettera di Saviano, il direttore de Il Fatto parla di 5 detenuti morti per Covid in questi nove mesi. Non so da chi si sia informato, ma nella prima ondata ci sono stati 4 reclusi morti, mentre nella seconda siamo arrivati a 6 morti. L’ultima vittima è proprio quella di ieri, uno dei reclusi al 41bis di Opera che, prima di prendersi il Covid, era già gravemente malato. Me lo ricordo bene Travaglio, quando stigmatizzò il giudice che aveva dato la detenzione domiciliare a Bonura, perché secondo lui al 41bis si è al riparo dal virus.
Travaglio conclude dicendo che la pena deve anche rieducare, ma dev’essere, appunto, una pena. Non una finzione o una barzelletta…
Ed è proprio quando sottolinea “anche” rieducare denota la sua poca conoscenza dell’articolo 27 della Costituzione che prevede proprio la finalità rieducativa delle pene. Quel plurale gli sfugge perché lui ha in testa solo il carcere, mentre i nostri padri costituenti (che il carcere lo conoscevano a differenza di Travaglio) saggiamente prevedevano con lungimiranza già che il carcere non dovesse costituite l’unico tipo di pena. Infine, il direttore de Il Fatto non prende neanche in considerazione che attualmente, a causa del Covid, sono sospese anche le più elementari – e già scarse in precedenza – attività trattamentali.
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