L’incredibile storia di Amra e di sua figlia, nata dietro le sbarre senza un motivo. Il giudice che decise la carcerazione della ragazza incinta: “Il fatto che sia in stato interessante non impedisce l’applicazione della misura di maggior rigore”.
Ha partorito da sola, in una cella del carcere di Rebibbia, al termine di un calvario giudiziario e ospedaliero su cui adesso si concentra l’attenzione della Guardasigilli Marta Cartabia e dei suoi ispettori. Un dramma tutt’altro che inaspettato, visto che pochi giorni prima di dare alla luce una bambina, Amra era ricoverata in una stanza dell’ospedale Pertini di Roma per una minaccia di aborto. Ma dall’ospedale la detenuta è tornata in carcere, dove ha partorito, assistita solo dalla sua compagna di cella.
Il 18 agosto, Amra, 23 anni, ha rischiato di perdere la sua quarta figlia. Gli altri tre bimbi li ha cresciuti in una roulotte parcheggiata in un terreno vicino Ciampino. Gli atti raccontano di un compagno assente e di una vita fatta di tanti piccoli furti. Proprio come quello per cui il 23 giugno è stata accompagnata in tribunale dai carabinieri che la hanno beccata a rubare in un tram: un portafoglio con all’interno 40 euro. Una routine, per Amra e le sue tre complici, di cui due incinte e tutte con fedine penali consistenti.
Nonostante le tre donne fossero “in avanzato stato di gravidanza”, spiega la giudice Isabella Russi, devono essere accompagnate in carcere. C’è il pericolo che tornino a delinquere, non lavorano e non hanno una dimora stabile. E “il fatto che le arrestate abbiano figli minori e tre di esse siano in stato interessante” non impedisce “l’applicazione della misura di maggior rigore”.
La giudice quel giorno rigetta anche l’istanza di patteggiamento proposta dal legale della donna, il penalista Valerio Vitale. Così per Amra e le sue amiche si aprono le porte del carcere, dove la ragazza resta nonostante il suo avvocato, certificati medici in mano, racconti delle minacce di aborto, dei rischi corsi durante le precedenti gravidanze terminate prematuramente e delle esigenze dell’ultimo figlio di Amra, un bimbo di 9 mesi che dovrebbe essere allattato.
Il 14 agosto poi la garante dei detenuti del Lazio bussa alla porta dell’infermeria di Rebibbia: “In quel momento erano ricoverate 14 donne, anche psichiatriche, in condizioni terribili: molte urlavano, una sbatteva la testa al muro, un’altra si strappava i peli del pube con i denti”, racconta la garante Gabriella Stramaccioni ricordando di aver scritto al tribunale appena tre giorni dopo per chiedere il trasferimento di Amra in una comunità: “Nessuno ha risposto”. E il giorno dopo, il 18 agosto, Amra viene “ricoverata per un’emorragia”, racconta Mauro Palma, garante nazionale dei detenuti. Poi torna in carcere e il primo giorno di settembre partorisce, aiutata solo dalla compagna di cella: “Sono stata brava”, gioisce l’improvvisata ostetrica.
Per Amra, il 3 settembre scorso, il suo avvocato ha ottenuto il patteggiamento a 1 anno e 4 mesi di reclusione. E fuori dal carcere e dovrà stare lontano da Roma andando a firmare davanti alle forze dell’ordine di Pomezia. “Una vicenda simile non mi era mai capitata. Si è trattato pur sempre di un tentato furto e non posso credere che vi erano esigenze cautelari di “eccezionale rilevanza”, tali da non poter essere soddisfatte con misure non detentive. A nulla è valso anche il mio tentativo di sensibilizzare il tribunale”, commenta l’avvocato Vitale.
“Le madri fuori dal carcere”, promette Cartabia
“Dobbiamo portare tutte le detenute madri fuori dal carcere” dice la Guardasigilli Marta Cartabia dopo aver letto su Repubblica la storia di Amra. La ministra ha messo il caso nelle mani di Maria Rosaria Covelli, la magistrata che guida gli ispettori di via Arenula.
La storia di Amra segna anche Dino Petralia, il capo delle carceri italiane, che per tutta la giornata è stato in contatto con la ministra: “Ogni madre con un bambino in carcere rappresenta un disagio, e anche una pena. Tutte le misure possibili vengono gestite dai magistrati anche con una certa oculatezza, tant’è che ne abbiamo solo 11 in custodia, ma l’obiettivo è cancellare questa cifra. Ma non abbiamo noi il governo di questo orizzonte, ce l’ha l’autorità giudiziaria”.
Un modo per dire che Amra non doveva entrare in carcere e non doveva restarci? Petralia non dice di più.
Fonte: roma.repubblica.it
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