La minaccia sarebbe stata pronunciata da agenti penitenziari: undici rinviati a giudizio, ieri la testimonianza dei volontari di San Vittore.
Un pestaggio per impedirgli di parlare e di “fare la spia“ su quanto succedeva dentro le carceri? O di raccontare le condotte ambigue degli agenti? Lo chiarirà il processo che ha preso il via ieri, davanti al giudice Mattia Fiorentini della settima penale.
Undici agenti di polizia penitenziaria sono stati rinviati a giudizio per aver picchiato, secondo l’accusa, un detenuto a San Vittore e per avergli impedito di testimoniare su una serie di furti commessi all’interno del carcere, con la minaccia: “Se lo fai, finisci in un sacco nero”. La storia giudiziaria del tunisino Ismail Ltaief, fatta di violenze e soprusi inizia, secondo quanto finito agli atti del processo, con i pestaggi per aver denunciato gli agenti della penitenziaria accusati di furti nelle cucine. Il processo ha dato la parola ai volontari del carcere di San Vittore, in cui si trova Ismail: “Ltaief mi ha mostrato dei segni che aveva sul corpo e mi ha detto di essere stato picchiato da un gruppo di poliziotti addetti ai controlli, di cui non sapeva il nome”, ha spiegato la volontaria nel processo in cui sono coinvolti ispettori e agenti di polizia penitenziaria. Il tunisino 51enne, parte civile e assistito dall’avvocato Matilde Sansalone, sarebbe stato picchiato, la prima volta nel 2011. Sempre la volontaria ha detto in aula che il 51enne avrebbe anche raccontato di essere stato picchiato con un tirapugni. “Mi ha detto – ha aggiunto – che doveva andare a testimoniare, e che altri agenti, a suo dire, volevano impedirglielo. Lo avrebbero minacciato di morte e un ispettore gli avrebbe detto: “Ti accompagniamo noi, così tornerai che sei morto”.
E ancora: “Psicologicamente era molto provato, angosciato, impaurito e io non ho mai pensato che mentisse. Era anche preoccupato per la moglie e lei lo era per lui, perché alcuni agenti gli avevano chiesto il nome della moglie”. Poco prima in aula aveva testimoniato una dottoressa del Sert di San Vittore. “Un giorno ero insieme alla psicologa e lui mi ha fermata sulle scale, dicendoci che lì non c’erano le telecamere e ci ha fatto vedere dei lividi su un fianco”. Secondo l’avvocato Michele D’Agostino che assiste quattro degli agenti “ci sono parecchie incongruenze nel racconto del detenuto, ci sono tante cose non dimostrate. Noi riteniamo di avere le prove della falsità delle sue dichiarazioni, alcune persone non erano neppure presenti al momento dei fatti denunciati, e l’uomo si è reso protagonista anche di atti di autolesionismo”. Si torna in aula il 17 maggio.
Fonte: ilgiorno.it