Cinque le prostitute uccise da Gianfranco Stevanin nel 1994. Nella sua abitazione lo schedario degli orrori commessi e i corpi delle vittime sotterrati. Adesso chiede di essere ammesso in comunità.
Cinque donne uccise e i loro corpi occultati dentro dei sacchi di plastica o nylon: è questo il curriculum criminale che ha fatto di Gianfranco Stevanin uno dei serial killer italiani più conosciuti. Erano prostitute le vittime del cosidetto “mostro di Terrazzo”: ingaggiate per giochi di sesso estremo, finivano per essere strangolate, fotografate una volta cadaveri e fatte a pezzi.
Un caso che nel 1994 indignò l’opinione pubblica facendo aprire un grande dibattito in sede processuale in merito alla capacità di intendere e di volere del criminale.
Gianfranco Stevanin prima degli omicidi
Nato il 2 ottobre del 1960 a Montagnana, in provincia di Padova, Stevanin ha un’infanzia tranquilla senza problemi a relazionarsi con i compagni di scuola e con gli amici in generale. Dopo un incidente all’età di sette anni, i genitori lo trasferiscono in un collegio per tenerlo lontano da fonti di pericolo. Nel 1976 un incidente in moto gli costa un grave trauma cranico. La cicatrice di quella ferita lo accompagnerà per tutta la vita unitamente a delle crisi epilettiche. Superata la fase della riabilitazione, Stevanin incontra l’amore della sua vita: all’età di 20 anni si innamora di Maria Amelia. Con lei rimane per i successivi 5 anni fino a quando lei si ammala e i genitori di lui lo costringono a lasciarla. Da allora Stevanin cerca in ogni donna la “sua” Maria Amelia, attraverso dei rapporti sessuali di carattere occasionale. Inizia a frequentare le prostitute intrattenendo con loro rapporti di sesso estremo, con particolari raccapriccianti che verranno a galla solamente più avanti.
Il crimine che causò il primo arresto
Il 16 novembre del 1994 Stevanin offre dei soldi a una prostituta per poter avere dei rapporti sessuali con lei e scattarle alcune foto. La donna, Gabriele Musger, si fida: accetta e sale in macchina con lui. Nell’abitazione dell’uomo i due hanno rapporti sessuali estremi, lui la immortala in alcuni scatti porno, ma quando lei rifiuta di farsi legare al tavolo, Stevanin la minaccia puntandole una pistola alla tempia. La donna corre in bagno, tenta di scappare dalla finestra, ma non avendo possibilità di fuggire propone un accordo: i suoi risparmi (25milioni di lire) in cambio della libertà. La prostituta viene quindi trascinata in macchina da Stevanin fino a casa sua, dove dice di avere i soldi. Arrivati al casello di Vicenza Ovest la macchina si ferma per il pagamento del pedaggio. Gabriele coglie l’attimo e fugge chiedendo aiuto alla polizia che si trova lì in servizio. Gianfranco Stevanin viene arrestato per violenza sessuale, tentata estorsione e possesso di una pistola giocattolo priva del tappo rosso. Per lui arriva una condanna a due anni e sei mesi di carcere.
La scoperta degli orrori
Durante le perquisizioni compiute dagli inquirenti in casa di Stevanin, relativamente ai fatti denunciati da Gabriele Musger, emergono degli elementi inquietanti. Viene ritrovato materiale pornografico unitamente a più di 7mila fotografie scattate alle donne che con lui avevano intrapreso le relazioni occasionali. Ma non solo. Vengono ritrovati anche uno schedario con tutte le informazioni sulle sue partner, libri di anatomia, scatole contenenti peli pubici, vibratori, cinghie. Emergono anche gli oggetti appartenenti a due donne: Biljana Pavlovic e Claudia Pulejo. Le due risultavano essere anche nello schedario dell’uomo. Di loro non si avevano più tracce da diverso tempo. Il criminale si giustificò dicendo che aveva intrattenuto con entrambe rapporti sessuali ricevendo come pegno d’amore quegli oggetti. Quanto ai peli pubici, Stevanin ammette appartenevano ad alcune donne che lui stesso aveva rasato: “Provavo piacere a vedere una ragazza adulta come una ragazzina, mi piaceva sentire la pelle liscia, senza peli“. E ancora: “Tenevo i peli pubici e i capelli perché pensavo di farmi l’imbottitura di un piccolo cuscino, c’erano già i peli e mi sono detto perché non mettere anche dei capelli?“.
La svolta
Dopo il ritrovamento di un sacco contenente i resti di un cadavere in un terreno vicino la casa di Stevanin da parte di un agricoltore, il 3 luglio del 1995 i magistrati inviano delle ruspe in quell’area. Si cercano così altri corpi. Il 12 novembre del 1995 viene ritrovato il corpo di un’altra donna. Si tratta proprio di Biljana Pavlovic. Il 1º dicembre dello stesso anno viene ritrovato il terzo corpo, ovvero quello di Claudia Pulejo. A Stevanin vengono attribuiti anche gli omicidi di una prostituta austriaca, Roswitha Adlassing, le cui foto sono presenti nello schedario del criminale, e di un’altra donna mai identificata. Una volta interrogato dagli investigatori Stevanin alterna momenti di lucidità in cui ricorda i fatti nei dettagli a momenti in cui dice di avere dei vuoti di memoria a causa del trauma riportato con l’incidente del 1976. Il 24 settembre del 1996, in seguito a una sua confessione non completa, viene ritrovato nell’Adige il cadavere di Blazenca Smolijo, prostituta di origine croata.
La condanna
Stevanin non confessa gli omicidi. Racconta di incontri, di rapporti sessuali, ma non ammette i delitti commessi: “Io non ho ucciso le mie donne, erano loro che morivano“. Dice di non ricordare e si giustifica con dei vuoti di memoria. Poi ricorda anche qualche rapporto: “Mi piaceva quella ragazza – afferma – una straniera. Credo fosse una prostituta. Una sera le proposi di venire da me. Ricordo che durante il rapporto le tenevo un braccio stretto al collo. Ogni tanto la stringevo. È stato solo quando abbiamo finito che mi sono accorto che lei non si muoveva più. Era morta“.
Stevanin viene sottoposto a una perizia psichiatrica che lo dichiara pienamente capace di intendere e di volere e anche una persona molto intelligente. Quindi processabile. I periti della difesa contestano la perizia affermando che i problemi di Stevanin sono la conseguenza del suo incidente in moto. Da quel momento il criminale si presenta alle sedute processuali con la testa rasata per mettere in evidenza la cicatrice. La prima sentenza della Corte d’Assise di Verona, il 28 gennaio del 1998, condanna Gianfranco Stevanin all’ergastolo. Il 7 luglio del 1999 la Corte d’assise d’appello di Venezia assolve l’imputato dall’accusa di omicidio ritenendolo incapace di intendere e volere e lo condanna a 10 anni e mezzo per occultamento e vilipendio di cadavere. Ma non finisce qui:la prima sezione della Corte di Cassazione di Roma annulla per “illogica motivazione” la sentenza, rinviando il riesame del caso a una nuova sezione d’appello. Il 23 marzo del 2001 la Corte d’appello di Venezia conferma la condanna all’ergastolo per Gianfranco Stevanin, ritenuto capace di intendere e di volere. Sentenza confermata dalla Corte di Cassazione.
Gianfranco Stevanin oggi
Gianfranco Stevanin si trova nel carcere di Bollate a Milano e dichiara di essere cambiato. Continua a sostenere di non ricordare quanto successo e, nella speranza di ottenere alcuni permessi premio, fa una confessione al suo avvocato: “Ho passato tanti anni in carcere, credo che come gli altri anche io meriti di vedere la luce”. Diplomatosi in ragioneria dietro le sbarre, Stevanin ha seguito anche un corso di informatica e di giardinaggio sperando di trascorrere qualche ora della giornata fuori dalla struttura di Bollate. Lo racconta a IlGiornale.it il suo avvocato Francesco D’Andria: “Come difensore – afferma il legale – ho contattato dei consulenti per effettuare una nuova perizia nei confronti di Stevanin e caldeggiare una nuova rivalutazione su di lui”.
L’avvocato racconta di aver fatto diverso tempo fa un appello a don Mazzi affinché potesse accogliere l’ergastolano in comunità ma che poi, a frenare ogni possibilità è stata la burocrazia giudiziaria: “Nessuno – dichiara Francesco D’Andria – si prende la responsabilità di far uscire Stevanin dal carcere per intraprendere un percorso di risocializzazione perché si ritiene che lui possa avere ancora degli agiti sessuali. Alla luce della sua datata devianza, si ritiene aprioristicamente che il soggetto sia irrecuperabile. Se viene fatta una valutazione seria della perizia – prosegue il legale – e ci sono delle comunità disponibili a ospitare Stevanin per dei piccoli permessi premio, per poche ore, sarebbe la via più ragionevole. Ci sono stati dei soggetti – aggiunge – che hanno compiuto degli efferati delitti e oggi stanno godendo di misure alternative alla detenzione. Credo che nei suoi confronti invece ci sia un grande pregiudizio inumano nonostante sia ritenuto un detenuto modello”. La difesa di Gianfranco Stevanin nei prossimi giorni presenterà un’istanza di permesso premio: “Abbiamo un sistema penale che crede nel recupero del carcere quindi perché non dare questa possibilità a Stevanin”.
Fonte: ilgiornale.it