«Qui comandiamo noi»; «da oggi in poi dovrete contrattare con noi»; «rivolta, rivolta, sfasciamo tutto»; “non me ne frega niente chi sei tu, qui comandiamo noi: ti do cinque secondi per andare via: uno, due, tre…”.
Scene di una sommossa, quella esplosa la mattina del 9 marzo 2020 nel carcere di Foggia, come raccontate dai capi d’imputazione contestati a 82 ex detenuti coinvolti nei tumulti, contrassegnati anche dall’evasione di massa di 72 reclusi – la più clamorosa per numeri della storia dei penitenziari italiani – tutti riarrestati o costituitisi nell’arco di alcuni mesi. Devastazione e saccheggio, sequestro di persona, resistenza e oltraggio, furto i reati contestati dal pm Miriam La Palorcia che chiede al gup di rinviare a giudizio 81 imputati (l’82° è deceduto le scorse settimane), tra cui 4 donne.
L’udienza preliminare davanti al gup Roberta Di Maria riprenderà a ottobre.
Come emerge dalla relazione del Dipartimento amministrazione penitenziaria(Dap) su cause e ricostruzione della sommossa nata per protestare contro il divieto di colloqui con i familiari attuato dal Governo per fronteggiare la pandemia da Covid e limitare il rischio contagi, alla sommossa parteciparono 450 dei 579 detenuti quel giorno: tra i presunti rivoltosi anche alcuni che poi evasero.
Tutti sono accusati di devastazione e saccheggio, in concorso con altri detenuti non identificati, tra chi ha avuto un ruolo attivo e chi ha agevolato e rafforzato in altri i propositi per la sommossa.
La devastazione consistette “nella distruzione di suppellettili; nel divellere” recita il capo d’imputazione “porte e cancelli; infrangere vetri; appiccare un incendio presso l’ufficio matricola e nella zona antistante il block-house con alcuni materassi portati in cortile; salire sul tetto dell’ufficio demaniale inneggiando alla rivolta; minacciare Agenti perché aprissero le celle di detenuti ancora rinchiusi; forzare un cordone della Polizia Penitenziaria; incitare i detenuti a radunarsi nell’area esterna dopo l’apertura di varchi; rovinare arredi e utensili della cucina; divellere il cancello detto block-house e quello perimetrale, così riuscendo a evadere in massa per riversarsi nelle strade cittadine, creando pericolo per i passanti e costringendo i titolari di attività commerciali a barricarsi nei loro locali; creando altresì pericolo per la sicurezza del carcere e mettendo in pericolo l’ordine pubblico”.
A 7 imputati (Giannoccaro, Body, Battiante, La Penna, Totaro, Bianco e Viscillo) contestato il sequestro di persona di un Agente di Polizia Penitenziaria che cercava di mettere in sicurezza il cancello carraio quando sotto minaccia accompagnata da energici spintoni, fu costretto a rientrare all’interno del varco, venendo colpito con un pugno al petto e chiuso nell’ufficio dopo avergli sottratto le chiavi dell’ufficio carraia>.
Di 7 episodi di resistenza e/o oltraggio rispondono 19 imputati: c’è chi avrebbe sottratto le chiavi a una Poliziotta Penitenziaria che cercava di mettere in sicurezza l’ingresso del reparto femminile; chi accerchiato e strattonato un Agente che voleva mettere in sicurezza il cancello dei passeggi; chi minacciato di morte un Agente da cui si voleva sapere dove fosse il direttore del carcere; chi usò un estintore versandone il contenuto su un Poliziotto.
Due imputati rispondono del furto di 2 ricetrasmittenti e un caricabatterie rubati su un autocarro di una ditta manutentrice parcheggiato vicino l’uscita del carcere.
Fonte: lagazzettadelmezzogiorno.it