«Vi prego riportatemi a casa dalla mia famiglia». Non c’è tregua per Marco Zennaro, 46 anni, l’imprenditore veneto finito in carcere in Sudan lo scorso primo aprile. L’amministratore unico della Zennaro Electric Constructions di Marghera, in provincia di Venezia, è stato trasferito in un’altra prigione due giorni fa. Ai familiari che sono riusciti ad avere sue notizie ha fatto sapere di aver affrontato un viaggio disumano e di trovarsi ora in condizioni persino peggiori di quelle in cui è già stato per due mesi. «Sono rimasto otto ore nel carcere del palazzo della corte dove non sapevo nemmeno di doverci andare. Uno stanzino sottoterra al buio. Senz’acqua né gabinetto né modo di comunicare con l’esterno. Mi era stato detto che era per portarmi in albergo. Ma la corte ha deciso il contrario: carcere», racconta Zennaro, che in Italia ha una moglie e tre figli piccoli.
Dopo la decisione della Corte, Zennaro viene quindi fatto salire su un mezzo che lo porta in un altro carcere. «Mi viene detto di salire su una camionetta di latta con altre 40 persone per un viaggio che dura un’ora e mezza nel traffico di Khartoum». Le condizioni sono tremende: «Siamo tutti ammassati. Sembra di stare in un forno dove la temperatura raggiunge i 50 gradi». Dopo un’ora e mezza di tragitto Zennaro arriva in carcere e, confessa, «ho paura. Non so cosa mi aspetta. Nessuno sa nulla, non ho il telefono e nessuno parla inglese». I poliziotti lo scortano: «Mi hanno fatto attraversare il settore degli omicidi, spacciatori e criminali: un inferno di 700-800 corpi ammassati uno sull’altro». Ma non è quella l’ultima meta di Zennaro, che finisce invece «nella sezione di reati penali con giustificazione finanziaria. Ci saranno 200 persone». L’imprenditore è sotto shock tanto che i compagni di cella decidono di occuparsi di lui: «Mi hanno preso in cura tutti i miei nuovi compagni perché hanno detto di aver visto un morto. Sono ostaggio di un sistema senza regole. Vi prego – supplica l’uomo – riportatemi a casa dalla mia famiglia».
Il fratello Alvise spiega che l’attuale collocazione di Marco «pare più “organizzata” (rispetto al commissariato di Khartoum che lo ha visto prigioniero per due mesi, ndr) ma con condizioni igienico sanitarie che restano ben al di sotto dello standard». E sempre il fratello più piccolo aggiunge che «nel frattempo avvocato, ambasciatore, Farnesina e familiari stanno lavorando ancora per farlo uscire al più presto perché la situazione resta estrema per lui fisicamente e psicologicamente».
L’azienda di Zennaro, che produce trasformatori elettrici, è in affari con il Sudan da oltre 25 anni. «Anni in cui mai ci sono stati problemi, di alcun tipo», aveva spiegato proprio Alvise a «La Stampa». Ma a inizio 2021 la società chiude una vendita con Ayman Gallabi, titolare di un’azienda di distribuzione e che ha acquistato i trasformatori di Zennaro per conto dell’azienda elettrica sudanese, la Sedec. Solo che i controlli fatti sul materiale «da una ditta nostra concorrente» è venuto fuori che i trasformatori non rispettavano gli standard. A marzo, quindi, Zennaro va in Sudan per sistemare la faccenda. Solo che dopo pochi giorni dal suo arrivo viene arrestato e messo per dieci giorni ai domiciliari in hotel, quindi si accorda con Gallabi per pagare 400 mila euro in cambio del suo rilascio. Ma in aeroporto viene arrestato e, dal primo aprile, detenuto in cella in un commissariato di Khartoum. Il fratello Alvise ne ha denunciato la condizione disumana: «In cella gli hanno negato il diritto alle visite, neanche l’ambasciatore può andare a trovarlo. Dorme per terra, in una stanza piccola che divide con altre 30 persone, non ci sono sedie, non può uscire, il bagno è in comune. Anche fisicamente teme di non poter più reggere, sebbene sia un ex rugbista. Ha dolori ovunque, non cammina più bene». Intanto della sua situazione si sta occupando la Farnesina: il direttore generale Luigi Vignali è volato in Sudan qualche giorno fa, nella speranza di poterlo riportare a casa. Ma da 48 ore Marco Zennaro è finito in un nuovo carcere.
Fonte: lastampa.it