I dati relativi al tasso di suicidi all’interno delle Forze Armate e di Polizia sono drammatici, ma nonostante ciò se ne parla poco. Si tratta ovviamente di una questione delicata, su cui i Corpi preferiscono spesso la strada della riservatezza per evitare ancor più dannose polemiche e preservare la dignità di chi ha compiuto questo gesto estremo. Complice anche il difficile distacco dallo stigma sociale che affligge le malattie psichiche, il problema dei suicidi all’interno delle Forze Armate e di Polizia non è ancora trattato con misure specifiche e continua a pesare gravemente l’assenza di una prevenzione psicologica dedicata alle situazioni di disagio. Eppure, i dati parlano chiaro: i suicidi tra questi lavoratori sono fino al 70% in più rispetto a quelli della popolazione civile. In particolare, da uno studio Istat che mette a confronto i suicidi all’interno delle Forze Armate e di Polizia e nel resto della popolazione, tenendo conto di elementi quali l’età, il sesso e la variazione degli organici, emerge che il tasso di suicidi va dal 13% al 70% in più rispetto a quello tra i comuni cittadini. Una media del 23% in più, assurdo pensare che manchi una correlazione. L’Osservatorio permanente interforze sui suicidi tra gli appartenenti alle forze di polizia – voluto nel 2019 dal prefetto Franco Gabrielli – conta negli ultimi 5 anni ben 275 suicidi, con una media di una morte ogni 6 giorni. Tra questi, 121 riguardano appartenenti alle Forze Armate (Carabinieri, Esercito, Marina militare e Aeronautica Militare), 129 suicidi tra gli appartenenti alla Polizia, alla Finanza e alla Polizia Penitenziaria e 25 suicidi nella Polizia municipale (questi ultimi forniti da “Cerchio blu”). Il tasso non è omogeneo, tanto meno se si guarda ai dati specifici di ogni Forza o Corpo, evidenziando che in questo problema generale c’è chi fatica più di tutti. L’elevato tasso di suicidi nelle Forze Armate, ad esempio, è dovuto principalmente ai suicidi nell’Arma dei Carabinieri. 78 Carabinieri si sono tolti la vita negli ultimi 5 anni, tanto ché il suicidio rappresenta per l’Arma la seconda causa di morte. Nel cercare di fare un po’ di chiarezza, ci aiuta Antonio Tarallo, Segretario Generale dell’Unione sindacale italiana carabinieri (USIC), che ha evidenziato le principali cause concatenanti di questa spinosa faccenda. Lo stress da lavoro correlato, le difficoltà economiche a causa di stipendi non adeguati alle esigenze lavorative, problemi familiari di varia natura, problemi di lontananza dalle proprie origini, creano a mio avviso un cocktail esplosivo. A questo aggiungiamo una discutibile organizzazione psicologica interna dell’Arma, che non riesce a registrare e prevenire le difficoltà dei Carabinieri a causa di una organizzazione che prevede che sia il militare a rivolgersi al servizio e non al contrario, ovvero che specialisti del settore vigilano di iniziativa per i reparti al fine di intercettare difficoltà che per la scala gerarchica sono di difficile individuazione. Fattori scatenanti che ben si applicano a tutta la categoria, che condivide una professione totalizzante, con un alto tasso di stress sul lavoro che amplifica le difficoltà legate alla vita non professionale: problemi familiari, di salute, debiti. Elementi che trovano riscontro anche nello studio pubblicato dalla Rivista di Psichiatria, che analizza proprio le cause di suicidio negli agenti di Polizia italiani dal 1995 al 2017, che evidenzia i seguenti fattori scatenanti:
Chiaramente non si può cercare un’unica causa, ma la percentuale dei fattori scatenanti dà una panoramica piuttosto chiara. Concorda sul punto anche Leo Beneduci, Segretario Generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma di Polizia Penitenziaria (OSAPP), che attribuisce l’elevato tasso di suicidi nella Polizia Penitenziaria a una concomitanza di fattori:
Secondo il Segretario Beneduci, “non ci si suicida per ciò che avviene in carcere”, ma la vita penitenziaria accentua i problemi e le difficoltà, complice anche la disponibilità di un’arma di servizio. Lo studio psichiatrico citato, infatti, riporta che l’82% dei suicidi nella Polizia avviene proprio a mezzo dell’arma di ordinanza. Per questo, urge ricordare all’Amministrazione che servono presidi psicologici preventivi per aiutare (secondo le statistiche di OSAPP) almeno metà del personale penitenziario, che soffre di problemi di natura psicologica e mentale (dal cosiddetto “burn out” alla depressione). I dati dell’Osservatorio contano 75 suicidi nella Polizia di Stato, 28 nella Guardia di Finanza e 26 nella Polizia Penitenziaria (dove però l’organico è nettamente inferiore, con una percentuale di conseguenza più elevata). La necessità di servizi appositi è stata rimarcata anche da USIC: L’Arma dei Carabinieri ha stipulato un protocollo che costa circa 150.000 euro l’anno creando un numero verde laico, al fine di cercare di intercettare le criticità dei carabinieri e questo non basta. Occorre una convenzione con le aziende sanitarie locali per consentire ai loro staff psicologici di entrare nelle caserme per individuare criticità ed anche di fare opera di convincimento per cambiare lo status quo che lo psicologo è il cosiddetto strizzacervelli da cui stare lontani. L’Arma dei Carabinieri, la Polizia di Stato e la Polizia Penitenziaria detengono tristi primati, ma si può evidenziare come il problema della salute mentale affligga tutte le Forze Armate e di Polizia. Il primo passo per affrontare la questione, ricorda il Colonnello Antonio Colombo del Sindacato militari Marina (SIM Marina) è “indagarne le cause, cercando di osservare e comprendere meglio il fenomeno, anche grazie all’occhio esterno fornito da un sindacato”. Negli ultimi 5 anni la Marina Militare ha visto 12 suicidi, l’Aeronautica Militare 6 e l’Esercito 25. Mancano, infine, i dati sulla Polizia locale, che per il momento non è inclusa nell’Osservatorio. Secondo i dati raccolti dall’Ong Cerchio Blu, tuttavia, ci sono stati 25 suicidi negli ultimi 5 anni, di cui 3 nel 2023. Trovare soluzioni non è semplice in una questione così delicata, anche perché è facile il rischio di peggiorare le cose. Il ritiro dell’arma di ordinanza appare ad esempio una facile risoluzione, almeno momentanea, ma non farebbe altro che ledere la professionalità e la dignità di chi già si trova in difficoltà. La spinta dell’Osservatorio e dei Sindacati sta incentivando le amministrazioni a impegnarsi di più, mettendo in campo progetti di monitoraggio, socializzazione e sostegno psicologico. Fondamentale, poi, intervenire sulla mentalità, che secondo il dottor Fabrizio Cipriani (coordinatore della Direzione centrale sanità del Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’Interno) ha una grossa responsabilità.
Fonte: Forzeitaliane.it – Aurora Marinaro
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