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Trattativa Stato-Mafia, sul cellulare di Riina depone il prefetto Rossi

“Non ricordo nulla, ma questo appunto di trasmissione è mio”

Totò Riina aveva o non aveva un cellulare a disposizione nel periodo in cui si trovava detenuto nel carcere di Rebibbia nel luglio, agosto 1993? E’ questo uno degli interrogativi destinati a rimanere aperti nonostante gli approfondimenti avvenuti nel corso del processo d’appello sulla trattativa Stato-mafia. Al di là del tempo trascorso, che certo non aiuta la ricostruzione completa dei fatti assieme al decesso di diverse figure di riferimento, a non essere chiare sono le modalità con cui la notizia stessa è stata trattata all’interno dei più alti vertici istituzionali, tenuto conto che in quel periodo storico esplosero le bombe a Roma e Milano. Un elemento che di per sé dovrebbe lasciare impresso nella memoria il dato. Tuttavia sul punto in molti hanno detto di “non ricordare” il fatto o l’esito di eventuali approfondimenti svolti. Oggi è stata la volta dell’ex prefetto Luigi Rossi (in foto), al tempo vice del capo della polizia Parisi, sentito in videoconferenza di fronte alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo.
La nota Sisde sarebbe pervenuta in data 24 ottobre 1993 per poi essere trasmessa il 12-15 novembre. In quel appunto si riferisce che i primi di agosto Riina era stato visto telefonare servendosi di un apparecchio cellulare messo a disposizione da quattro agenti penitenziari che hanno ammesso di aver preso 40milioni a testa e che per non dare pubblicità alla vicenda gli stessi erano stati trasferiti senza fare la denuncia.
Rispondendo alle domande del sostituto procuratore generale Giuseppe Fici, Rossi ha detto di non ricordare il particolare della nota riservata e, pur non escludendolo, di non aver interloquito con Parisi rispetto alla detenzione di Riina o la vicenda del cellulare. Tuttavia leggendo le carte ha confermato di aver effettuato lui un’annotazione a matita, nella carpetta che riguardava l’argomento, nel 2 novembre con i riferimenti al funzionario Fera e l’ex vice capo del Dap Francesco Di Maggio“Di Maggio significa mandarlo al Dap – ha detto – Non ricordo di aver parlato con lui di questo. Io lo incontravo negli incontri istituzionali. Ricordo che partecipava anche ai Comitati nazionali di ordine e sicurezza pubblica”. In un altro documento, rinvenuto durante gli accertamenti della Procura generale, sempre Rossi spiega di aver chiarito “le modalità di ricezione” della comunicazione con il capo del Dap Adalberto Capriotti. Tuttavia Rossi, nonostante abbia confermato che l’appunto fu redatto dalla sua persona, non ha alcun ricordo sul punto suggerendo alla Corte di sentire in merito Giuseppe Fera, che era suo stretto collaboratore.
Lo stesso Fera, già sentito in precedenti udienze, aveva dichiarato di non ricordare bene i contorni della vicenda, salvo confermare i contenuti delle documentazioni.
Il processo è stato poi rinviato al 23 novembre quando, sempre su questi argomenti, dovrebbe tenersi l’esame di Liliana Ferraro, Cinzia Calandrino, al tempo coordinatrice dei servizi presso la segreteria generale del Dap e responsabile della sezione quarta. In quel giorno sarà previsto anche l’esame della funzionaria di polizia Giustolisi, che ha compiuto gli accertamenti sulle dichiarazioni del pentito Pietro Riggio.

 

 

 

 

Fonte: antimafiaduemila.com

Redazione OSAPPoggi

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