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Ucciso in carcere, i familiari di Delfino chiedono un milione e mezzo al ministero della giustizia

Viterbo – Ucciso in carcere, i familiari di Giovanni Delfino chiedono un milione e mezzo di euro di risarcimento al ministero della giustizia. E’ l’altra faccia del processo per omicidio volontario sfociato nella condanna a 14 anni dell’assassino.

Nel frattempo è emerso che l’omicida, condannato ieri a 14 anni di cui cinque in Rems perché seminfermo di mente, si sarebbe trovato in cella con la vittima per iniziativa di un ispettore della penitenziaria. Non c’entrerebbero, quindi, né il direttore, né il comandante.

L’avvocato delle sette parti civili spiega: “C’è anche il danno catastrofale, perché la vittima era vigile in ospedale e ha capito che stava morendo”. Sono la madre 81enne, la sorella, il fratello, la moglie, il figlio e i due nipotini in tenera età della vittima, il viterbese 61enne massacrato con una decina di sgabellate alla testa la sera del 29 marzo 2019 a Mammagialla dal compagno di cella Khajan Singh.

L’indiano 35enne è stato condannato ieri a 14 anni di carcere, di cui cinque in Rems, grazie allo sconto di pena dovuto al riconoscimento della seminfermità mentale da parte della corte d’assise presieduta dal giudice Gaeatno Mautone. Soffrirebbe di una psicosi a sfondo sessuale. “Ce l’ho piccolo, non funziona più, non sono più maschio, non posso fare sesso, sono triste, sempre nervoso, per questo ho dato fuori di testa”, ha detto ieri rilasciando spontanee dichiarazioni.

Disponendo cinque anni di ricovero presso la prima struttura sanitaria di accoglienza per gli autori di reato affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi dove si liberi un posto, la corte d’assise ha accolto l’appello dello psichiatra Giovanni Battista Traverso che lunedì, illustrando la sua perizia, ha detto: “L’imputato va curato”.

Ai familiari, che si sono costituiti parte civile con l’avvocato Carmelo Antonio Pirroni, è stato riconosciuto il diritto a un risarcimento danni da quantificare in altra sede per la perdita del congiunto. Intanto è in piedi una causa civile per ottenere ristoro dal ministero della giustizia, cui fa capo l’amministrazione penitenziaria.

La richiesta già avanzata al ministero della giustizia tiene nel frattempo conto anche della sofferenza spirituale patita da Delfino che, quando è arrivato a Belcolle, era vigile e si è quindi reso conto che stava sopraggiungendo la fine. E’ il cosiddetto “danno catastrofale”.

“La vittima ha capito che stava morendo”

La richiesta è di un milione e mezzo di euro, comprensivi anche del cosiddetto “danno catastrofale”, che tiene conto della “sofferenza patita dalla vittima nella cosciente percezione della propria fine”. Delfino, infatti, nonostante le percosse subite, avrebbe chiaramente avvertito l’avvicinarsi della propria morte, come confermato anche dall’esame obiettivo effettuato nella cartella clinica di pronto soccorso dell’ospedale di Belcolle alla data di ingresso, dove si narra di un paziente vigile.

“Tra i danni non patrimoniali risarcibili alla vittima e trasmissibili agli eredi – spiega l’avvocato Pirroni – oltre al danno morale soggettivo dovuto allo stato di sofferenza  spirituale patito dalla vittima nell’avvicinarsi della fine, c’è poi anche il danno biologico terminale, ovvero la lesione del bene salute come danno conseguenza, consistente nei postumi invalidanti che hanno caratterizzato la durata concreta del periodo di vita del povero Giovanni Delfino, nella fase tra la lesione e la morte”.

“Delfino soccorso solo dopo un paio d’ore”

“Non si può inoltre sottacere – sottolinea il legale – anche l’ulteriore negligenza dell’amministrazione penitenziaria laddove, attesa la grandissima  sorveglianza cui doveva essere sottoposto Singh, a prescindere dalla collocazione, le guardie carcerarie siano intervenute presso la cella di detenzione comune solo dopo un paio di ore circa dall’aggressione, nonostante il trambusto, le urla di Singh ed i richiami degli altri detenuti di celle vicine”.

“E’ ovvio – ribadisce Pirroni – che un controllo a vista del detenuto Singh, come quello prescritto dai mppresentanti dell’equipe multidisciplinare, avrebbe scongiurato l’aggressione ai danni di Delfino e la successiva morte dello stesso. Non si può quindi ragionevolmente affermare, nella specie, che l’amministrazione penitenziaria abbia adottato tutte le misure idonee a evitare l’evento”.

“Singh in quella cella per iniziativa di un ispettore”

Come è noto, oltre a chiedere i danni al ministero della giustizia, la famiglia Delfino ha anche denunciato i vertici di Mammagialla, l’allora direttore e il comandante della polizia penitenziaria. Il fascicolo è nelle mani del pubblico ministero Franco Pacifici, che sarebbe prossimo a chiudere le indagini.

Durante l’udienza di ieri del processo al killer del 61enne, nel frattempo, è trapelato qualcosa in merito a delle presunte responsabilità.

“E’ emerso che il direttore e il comandante della polizia penitenziaria si erano adeguati alle disposizioni della commissione multidisciplinare relative alla grandissima sorveglianza in camera di pernottamento da solo di Singh. L’omicida si sarebbe trovato in cella con la vittima per iniziativa di un ispettore”, ha rivelato l’avvocato Pirroni, chiedendo durante la discussione la non imputabilità dell’assassino per totale vizio di mente.

“Il carcere non è stato in grado di tutelare i detenuti”

Noti a tutti i precedenti di Singh. Il 14 febbraio 2019 è stato arrestato a Cerveteri per il tentato omicidio del coinquilino omosessuale. Due giorni dopo, nel, carcere di Civitavecchia, ha tentato di uccidere il compagno di cella, salvato da un agente prontamente intervenuto che a sua volta è stato preso per il collo. Motivo per cui è stato sottoposto a Tso, trattamento sanitario obbligatorio.

Pochi giorni prima di uccidere Delfino, mentre era già stato trasferito a Mammagialla, il 35enne aveva fracassato uno sgabello perché l’addetto alle pulizie non aveva risposto a una sua chiamata. Mentre era in cella d’isolamento, sottoposto a regime di massima sorveglianza, avrebbe ripetuto episodi di insubordinazione per i quali è stato punito con il divieto di attività ricreative e sportive.

“Quindi in maniera del tutto improvvisa è stato inserito nella cella di Delfino, senza che l’equipe medica venisse infornata della cosa e nonostante il diktat rigido della stessa equipe”, ribadisce l’avvocato Pirroni. “È emerso, nel caso specifico, che il carcere, quel carcere, non è stato in grado di tutelare i detenuti, né Delfino, né il suo assassino, a sua volta vittima di una gestione inaccettabile”, ha detto durante la discussione.

 

Fonte: tusciaweb.eu

Redazione OSAPPoggi

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