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Un boato e l’assalto al carcere. Il giorno in cui a Rovigo ci fu guerra

Raffiche di mitra in via Mazzini, lo scoppio dell’autobomba causò la morte di Angelo Furlan.

Sono passati 39 anni da quel giorno, ma chi quel 3 gennaio 1982 era a Rovigo ricorda ancora benissimo il boato. L’esplosione fu tremenda e quel giorno la città fu la notizia d’apertura dei tg nazionali. Un commando terrorista legato a Prima linea e guidato da Sergio Segio, assaltò il carcere di Rovigo per far evadere quattro detenute. Nell’esplosione dell’A112 carica di tritolo morì Angelo Furlan, come ricorda una lapide sul muro dell’ex carcere in via Mazzini.

Quel giorno la città fu colpita al cuore, la violenza degli Anni di piombo fece irruzione anche nel capoluogo polesano. L’assalto del 3 gennaio fu un’azione militare in piena regola, con tritolo e raffiche di mitra. Una delle pagine più clamorose dell’intero periodo degli Anni di piombo, quando il terrorismo, rosso e nero, imperversava sulle strade d’Italia seminando lutti, vittime e una infinita scia di misteri.

Furlan, 64enne falegname in pensione, fu investito dalla deflagrazione dell’autobomba, centrato da un rottame e scaraventato all’ingresso della galleria Pasteur dove il suo cuore cessò di battere. Fu vittima innocente di un’assurda guerra allo Stato, quella che Prima Linea, e le altre sigle del terrorismo, avevano dichiarato alle istituzioni italiane.

Lo scoppio dell’autobomba e la morte di Furlan furono l’inizio di un pomeriggio di guerra.

Il gruppo di fuoco dei Colp di Prima Linea, guidato da Sergio Segio, nei giorni precedenti aveva pianificato l’azione nel condominio Piperno a Sottomarina. Per far evadere le terroriste dal carcere Segio entrò nella breccia aperta dall’esplosione nel muro di cinta, dentro Susanna Ronconi, Federica Meroni, Marina Premoli, Loredana Biancamano, avevano immobilizzato le guardie dopo un segnale convenuto. Fuori i terroristi sparavano sia contro le guardie sul muro sia contro un poliziotto e contro un finanziere accorsi dopo aver sentito gli spari.

In più occasioni i partecipanti a quella sparatoria hanno ricordato il fiume di fuoco e proiettili che investì il muro del carcere.

Gli otto “piellini” e le quattro evase scapparono lungo via Gorizia, poi in via Marin dove c’era un furgone lasciato lì per la fuga. In seguito saranno tutti arrestati e processati, tranne Lucio di Giacomo, morto in un conflitto a fuoco con i carabinieri a Tuscania (Viterbo).

In via Mazzini restarono macerie residui della battaglia. I soccorsi a Furlan si rivelano inutili. Le indagini furono coordinate dal Sostituto procuratore della repubblica di Rovigo Dario Curtarello. Il 28 gennaio a Roma venne arrestato Pietro Mutti, esponente di Prima linea. Decise di collaborare. Nei mesi seguenti le manette si chiusero ai polsi di quasi tutti i componenti del gruppo di fuoco.

Le indagini evidenziarono che l’idea di colpire il carcere rodigino era nata da Sergio Segio per far evadere la Ronconi. Segio, Forastieri, Schettini e Carfora appartenevano ai Nuclei comunisti, uno dei due tronconi in cui si era divisa Prima Linea. L’altro è il Colp, di cui facevano parte Di Giacomo, Borelli, Avilio e Frassinetti. Il progetto fu proposto alla colonna milanese delle Brigate rosse, la Walter Alasia, che però decise di limitarsi a fornire armi.

L’assalto pose in evidenza la carenza di molte strutture carcerarie, inadatte ad ospitare la mole di detenuti pericolosi che la lotta al terrorismo stava producendo. Il caso Rovigo arrivò anche in parlamento con una interrogazione dell’onorevole Dc Antonio Zanforlin. Da lì a poco tutte le detenute “politiche” del carcere rodigino sarebbero state trasferite.

Ieri sulla pagina di Fb di Rovigocentro foto e decine di ricordi da parte dei rodigini, tutti rammentano esattamente quello che stavano facendo quel giorno.

Sull’episodio Leonardo Raito e Caterina Zanirato nel 2015 hanno scritto un libro, qualche anno prima è stato girato un film con Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno.

Per anni la figlia di Furlan, Maria Teresea, che vive a Piossasco in provincia di Torino, ha sperato che Rovigo dedicasse una via alla memoria del padre: “Ricordare quell’evento è sempre una sofferenza – ha commentato – un ricordo tragico e doloroso. A Rovigo stavo bene, ma quel 3 gennaio cambiò tutto”.

 

 

 

 

Fonte: polesine24.it

Redazione OSAPPoggi

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