
di Leo Beneduci
Pensavamo che fosse finita, ovvero che a forza di “scottature” e di dimissioni anzitempo, la poltrona di capo del Dap non fosse più ambita come un tempo e che neanche costituisse uno dei tasselli della logica dello scambio dei posti che la politica utilizza per premiare o per punire le proprie pedine umane.
E invece no, il Dap può essere ancora utile.
Si vocifera in questi giorni nei corridoi di Largo Daga a Roma, sede del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (ma anche in qualche altro palazzo) di una vicenda che si andrebbe sviluppando proprio intorno alla poltrona di capo del Dap lasciata vacante il 10 gennaio scorso da Giovanni Russo.
Ebbene, pare proprio che dietro questa prolungata vacanza ci sia molto più di una semplice attesa.
Chi bazzica nelle stanze che contano racconta che l’attuale f.f. capo del Dap che sarebbe potuta essere la prima donna a diventare capo assoluto delle carceri (perché negarlo, con nostra soddisfazione e gradimento, ovviamente per quello che conta) non sia ancora riuscita a sedersi su quello scranno non per caso.
Raccontano le voci “malevole” che, per giochi e giochetti di cui il Dicastero di via Arenula, ultimamente andrebbe ghiotto (vedasi caso Almastri) quella poltrona, da occuparsi entro il prossimo giugno-luglio, sia destinata a un magistrato al momento impiegato all’estero.
La cosa curiosa o, se volete, interessante è che il TAR del Lazio avrebbe già detto “no” a un’altra magistrata che aspirava a quello stesso posto oltre confine. E allora che si potrebbe fare? Ecco spuntare una possibilità in più: utilizzare il DAP come una sorta di “sala d’attesa dorata”, con tanto di indennità suppletive e poi uffici, macchine, scorte, missioni e visibilità, per sistemare le cose e, in sostanza accontentare tutti…o quasi.
Vi starete chiedendo: ma il DAP non dovrebbe occuparsi delle carceri? In tanti, donne e uomini in uniforme tutti i giorni se lo chiedono e non trovano nessuno alle proprie spalle che li tuteli e li valorizzi, ma questo sembra interessare poco, rispetto a questi giochi di incastri e carriere.
In conclusione, è una di quelle storie che si potrebbero raccontare davanti alla macchinetta del caffè, se non fosse che ogni particolare trova conferma in numerosi indizi passati e presenti. Chi passa per questi corridoi lo sa bene: quello che un tempo era sussurrato, oggi è diventato un caso che fa discutere, con tanto di carte bollate a testimoniarlo.
E mentre il valzer delle poltrone continua, c’è chi si domanda quando torneremo a parlare di come migliorare davvero il sistema penitenziario e le condizioni di lavoro della Polizia Penitenziaria.
P.S. pubblicata oggi sul Corriere della Sera un’interessante intervista a Sebastiano Ardita Procuratore Aggiunto a Catania e già a lungo direttore generale dei detenuti e del trattamento al Dap.
Nell’intervista Ardita, rispetto alla permeabilità delle carceri alla supremazia della criminalità organizzata e all’uso dei telefonini da parte dei boss, parla di “una sciagurata scelta di gestione” in cui l’apertura delle celle, con il pretesto del sovraffollamento, ha provocato la mattanza dei diritti dei più deboli, in diretto rapporto con l’impennamento dei reati e dei suicidi in carcere.
A nostro avviso, assolutamente condivisibili e vere le espressioni di Ardita, per il rispetto affermato nei confronti della Polizia Penitenziaria e con riguardo anche ai profili di responsabilità contabile, civile e penale dell’attuale gestione pubblica.
Altrettanto indifferibile, come afferma il magistrato, impedire (separare in strutture ad hoc?) alla minoranza dei detenuti mafiosi e pericolosi di autogestire gli spazi condivisi.
Solo che…per quello che ci sembra di ricordare, non è stato proprio Sebastiano Ardita tra gli ispiratori, anni or sono, della classificazione dei detenuti già 41bis op. o comunque in odore di mafia in AS1, AS2 e AS3 che, pur con diverse prescrizioni e cautele, ha consentito a quei detenuti di essere allocati negli istituti penitenziari di comune destinazione detentiva?
Forse ci sbagliamo, ma a volte sarebbe utile i problemi immaginarli prima piuttosto che stigmatizzarli dopo.
Un fraterno saluto a tutti.
Leo Beneduci – Segretario Generale OSAPP
Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria